Una pezza di Lundini, l’ideatore Giovanni Benincasa: “Tanti hanno talento, Valerio è artista puro”
La tendenza a ritenere la televisione un mezzo espressivo poco nobile, che vale la pena di essere visto solo quando punta ad essere altro da sé, induce spesso a preoccuparsi troppo di chi sta dentro alla Tv e mai abbastanza di chi c'è dietro, chi la pensa. Giovanni Benincasa è di quei personaggi che da decenni scrive pezzi di storia della televisione italiana. Cresciuto professionalmente con i più grandi, da Boncompagni ad Arbore, passando per Raffaella Carrà, è stato lui a inventare Libero (e Teo Mammucari), ha lavorato spesso negli anni con Fiorello ed è lui l'ideatore di Una pezza di Lundini, programma extraterrestre prodotto da Stand By Me e sbarcato su Rai2 nelle ultime settimane invadendo la Tv e svegliandola dal suo torpore. La trasmissione con Valerio Lundini ed Emanuela Fanelli si muove ai confini della televisione, rispettandone le regole tecniche e grammaticali ma trasgredendo e deridendo sistematicamente ogni tipo di cliché la caratterizzi. Un'operazione apparentemente folle, in realtà molto ragionata, che abbiamo chiesto a Giovanni Benincasa di raccontarci.
Avete portato in Tv un programma spaesante, che sconvolge il pubblico, come non se ne vedevano da tempo. In che modo nasce Una pezza di Lundini?
Il pretesto narrativo è nel titolo, un programma che va in onda in sostituzione di un programma annullato all'improvviso. Ma, oltre che una toppa, romanescamente parlando è anche una “pezza" nel senso di schiaffo, sberla, perché Lundini sembra aeriforme ma in realtà è molto presente. Lui è un artista puro, sembra antitelevisivo ma è completamente l'opposto. E poi Emanuela Fanelli, presenza che cresce lenta, ma fondamentale: è la più brava, è rapida, è spiritosa, ha il senso del pieno e del vuoto, ha una memoria prodigiosa e si inserisce in qualunque cosa con una leggerezza invidiabile.
Un volto nuovo, non troppo noto, cui è intitolato un programma. Come hai conosciuto Lundini?
Ero a pranzo con Calcutta, il cantautore, gli stavo chiedendo di farmi le musiche per Battute e gli dissi che stavo cercando dei battutisti e umoristi. "Devi pija Lundini", mi disse immediatamente. Io manco sapevo chi fosse, quindi lo chiamai e ci incontrammo in un bar. Gli raccontai l'idea del programma e lui mi disse che avrebbe partecipato con piacere, ma a una condizione: "Io non faccio battute". Ed è andata proprio così.
Da lì alla scelta di costruire un programma su di lui cosa accade?
Ho subito pensato meritasse una trasmissione sua. Ci pensavo. L’idea di base nasce dalla mia voglia di mandare in onda Lundini, l’idea principale è quella: “pubblicare Lundini”, come un editore. Il resto è letteratura. Il programma non è un programma, ma un monologo di Lundini diversamente rappresentato. Ho scelto di mettere il suo nome nel titolo anche se lui non se l’aspettava: pensava fosse Una Pezza e basta. Inizialmente è rimasto interdetto, forse ponendosi il problema di non essere molto noto. Invece secondo me è una cosa molto importante perché i tempi sono cambiati, trent'anni fa un conduttore poteva raggiungere il successo in quattro puntate, mentre oggi quel tempo si è dilatato molto. Mettere il suo nome nel titolo credo gli abbia dato un'occasione in più.
Qual è la genesi dei pezzi surreali che abbiamo visto in queste settimane?
Lundini è aiutato da autori giovani, bravi, che ogni tanto gli suggeriscono uno spunto. Quindi Valerio si mangia questa spunto (chiamalo spuntino), lo ingoia, lo metabolizza e lo risputa totalmente diverso. Magari l'idea gli viene dopo tre giorni, ma è così che nascono alcune cose.
Un programma disorientante come questo ha il pregio di poter essere visto da chiunque e suscitare reazioni completamente diverse.
In queste settimane ne ho sentite di ogni tipo. Dall'amico che mi ha detto di non essere convinto dopo la prima puntata e si è ricreduto alla terza, a chi mi ha detto che Lundini non avesse il passo del conduttore. Mio figlio la settimana scorsa mi manda un messaggio per chiedermi se quei video che stessero girando sui social fossero del nostro programma. E c'è da sottolineare che mio figlio non sa nemmeno cosa sia Rai2. Secondo me qualcosa è accaduto, è un programma che riesce a creare contatti tra generazioni diverse e circola sugli smartphone.
La domanda delle domande dopo le prime puntate è: ma gli ospiti sanno a cosa vanno incontro?
Qui chiaramente prevale il segreto professionale. La risposta formale che posso dare è che Lundini può cambiare colore improvvisamente, ma la tela è quella.
Sì ma ad esempio Cristiano Caccamo sapeva del cane che gli avreste gettato in braccio a fine puntata?
Ecco quello no, certo che non lo sapeva!
La compianta sperimentazione che sembra sparita dai radar della Tv torna di prepotenza con questo programma.
La sperimentazione è di chi guarda, è lo spettatore a sperimentare nuovi stili, nuove sensazioni. Noi portiamo un prodotto finito che ha l'obbligo di creare palati nuovi. Al pubblico non possiamo dare solo e sempre amatriciana e carbonara.
L'assenza di pubblico rende il clima di Una pezza di Lundini ancora più surreale. Non c'è perché è vietato, o non ci sarebbe stato comunque?
Io e Valerio ci eravamo imposti, a prescindere dal Covid, di avere massimo quattro o cinque spettatori perché volevamo creare proprio l'effetto di quell'applauso triste. Eravamo alla ricerca di quel suono lì, che mette a disagio. Uno dei complimenti più belli che ho ricevuto è di Nicola Savino, ha sottolineato l'importanza di quei secondi di silenzioso imbarazzo che secondo lui sono fondamentali.
Mettere a sistema l'imprevisto immagino richieda il coinvolgimento di tutte le parti del programma, come se tutti fossero partecipi di questa toppa da dover mettere.
Il programma è esteticamente eccellente, ma non sai che fatica nel dire alla regia che io lo voglio ripreso male, in modo sciatto, perché nella Pezza devono essere tutti un po' impreparati, da conduttore a regia. Se tu mi fai uno stacco perfetto, un po' me lo rovini, il giocattolo. Alcuni stacchi sbagliati, secondo me, fanno parte della messa in scrittura dell'opera.
In una delle ultime puntate Lundini ironizzava sull'entusiasmo eccessivo di un conduttore che ha a che fare con ospiti con la sindrome di down. La Tv è ancora il tempio della provocazione?
La televisione è uno dei media attraverso i quali può passare una provocazione, ma non essendo più incisiva come una volta, cambia anche il peso della provocazione. Non a caso il programma è clippato, “spezzato”, per consentire la circolazione dei suoi frammenti sui social. Cosa alla quale Lundini è particolarmente adatto per la sua capacità di fare schizzi meravigliosi e istantanei, ma anche opere pittoriche complesse.
Con voi si torna ad attendere la seconda serata, segmento che pare non interessare più la televisione da tempo.
La seconda, anzi la terza serata, è come la terza pagina sui giornali, si avvia a sparire a causa dell'attuale realtà palinsestuale che prevede lunghissime prime serate che durano fino a notte fonda per portare a casa un punto di share in più. Infatti apprezzo molto l'operazione che sta facendo Rai2 con Brignano, proponendo un programma in prima serata della sola durata di un'ora, una rivoluzione visto lo stato dell'arte.
Per quanto ancora andrà avanti il programma?
Non sappiamo ancora per quanto tempo, ma penso almeno per tutto l'autunno. Per ora continueremo tre o quattro volte la settimana, confermando che si tratti proprio di una pezza a tutti gli effetti.
Vado a memoria e penso che c'è il tuo nome dietro i programmi comici più originali dell'ultimo ventennio, da Libero arrivando fino a Una pezza di Lundini. Qual è il tratto comune che li caratterizza?
La straordinaria novità nella conduzione, senza dubbio. Teo Mammucari e Valerio Lundini non si assomigliano per niente, ma li accomuna il peso della novità su due platee completamente diverse. Quella di Libero era un'arena, qui parliamo di uno studio vuoto.
In mezzo ci sono anche Viva Radio 2 e L'Edicola, quindi Fiorello.
In quel caso si è trattato solo di una collaborazione, non sono il suo autore e l'idea dei programmi, in particolare per L'Edicola, è totalmente di Rosario. Siamo amici e questo ci ha portati a collaborare. E tu capisci: collaborare con Fiorello è come andare al Luna Park.
Mammucari, Fiorello, Lundini e Fanelli. È evidente che chi ha talento si fidi di te.
Ma no, quello è solo perché si dice in giro che io porti bene. Diciamo che io creo delle macchine, ma tutto il resto è in mano al pilota.
Sai indiscutibilmente riconoscere un talento, cosa che forse oggi è più difficile di un tempo.
C'è stata una massificazione del talento, oggi sono tutti bravissimi. Trent'anni fa andavi in un piano bar, sentivi il tizio o la tizia che cantava e ti sorprendevi della bravura. Oggi i talenti proliferano, ce ne sono diecimila, c'è gente che salta in aria fino a venti metri facendo il tip tap e cantando senza stonare mentre fa un coro gospel individuale, ma quello che fa la differenza è l'innamoramento, quando cioè scatta qualcosa di diverso in mezzo a questa massificazione. E non è una cosa molto facile.
Spiegami meglio il concetto.
È come con l’amore: vedi decine di donne bellissime, o di uomini bellissimi, ma poi un giovedì, all'improvviso, ti fermi e dici: ma io l'amo. Non è solo talento, ma il vedere in un artista qualcosa che ipnotizza. E questo fa Lundini.