The Voice Of Italy, le verità nascoste della seconda puntata
Dalla seconda puntata di ieri di The Voice, si sono capite talune cose. La prima è che The Voice l'hanno fatto dovunque, tant'è che nel corso delle prime due puntate sono venuti fuori personaggi riciclati da edizioni del format dei più disparati paesi europei (tipo l'Albania). Pare sia fortemente di tendenza ad est, prossimo e lontano che sia, e onestamente, se è così bello (questo ancora dobbiamo capirlo) toccherà comprendere come abbia fatto la Rai a farsi sfuggire quest'intuizione sino ad oggi, permettendo a qualsiasi territorio politicamente riconosciuto con l'accezione formale di stato il suo The Voice. Insomma, o siamo divenuti davvero la periferia del mondo, oppure c'è da pensare che questo format faccia davvero pena, al punto che pure dalle nostre parti, col cattivo gusto televisivo che ci troviamo, l'abbiamo scelto come ultima spiaggia.
La seconda cosa è che The Voice concede possibilità di riuscita a tanti che immeritatamente non siano riuscita ad averne, a tanti che immeritatamente siano riusciti ad ottenerne e che se la sono giocata male, ma pure a molti che non meriterebbero di averne a priori. Vale a dire che si basa su di un criterio di scelta meritocratico, ma rimane una logica forzata quella di tenere conto solo del fattore vocale; una logica che in fondo ammette si dia troppo peso, in generale, all'aspetto estetico, e che quindi imponga una contromisura d'ufficio. In ogni caso si tratta di un'alterazione.
La terza verità assunta è che chi si veste peggio viene solitamente preso, mentre chi decide di rispettare anche solo un minimo di decenza estetica riesce a trasmettere onde magnetiche negative che impedirebbero il regolare funzionamento elettronico del bottone che fa girare la sedia, anche se uno dei giudici decidesse di premerlo. Fermo restando che non lo preme. In tema d'estetica, corollario di questo terzo punto è che Raffaella Carrà ritenga giovanile l'idea che qualcuno possa indossare degli stivali neri aperti. Lo ha detto con tono d'apprezzamento rivolgendosi a Vito Ardito, canuto concorrente sulla cinquantina (bravo e simpatico), in memoria dell'ultimo film che ha visto questa settimana in anteprima, al cinema, insieme a Sergio Japino: Noi, i Ragazzi dello Zoo di Berlino.
Quarta e ultima constatazione è che pure a The Voice, così come quel che vale per gli altri talent, i giudici, per quanto una clausola contrattuale ne preveda un massimo di due ed essi stessi si siano imposti di evitare di sceglierne, non riescono a fare a meno di farsi tentare e suggestionare dalle voci graffiate. Da che in Italia esiste il talent la voce graffiata presentata come singolare ed atipica è un must di chi è chiamato a scegliere. Ma è un must pure che in Italia, evidentemente, le voci graffiate autoctone non se le fili nessuno: vogliamo farcene una ragione, o continueremo ad illudere e rovinare il futuro di giovani aspiranti che credono di possedere un timbro fuori dal comune?