The Voice of Italy 2018 potrebbe avere una storia interessante da raccontare
Svanito l'entusiasmo della novità delle prime volte, Rai 2 oggi sembra porsi nei confronti di The Voice come una sorta di creditore, più vicino ad esigere una risposta importante che ad auspicarsela. Passato l'anno sabbatico durante il quale il talent ha rischiato di essere messo definitivamente in cantina, dopo i risultati non proprio esaltanti delle prime quattro edizioni, si attendeva di capire se al format servisse solo un po' riposo, o se il pensionamento anticipato fosse l'unica soluzione possibile.
Il ruolo di Al Bano e Cristina Scabbia
Dopo la prima puntata di The Voice of Italy 2018 (con risultati discreti di pubblico) ci si azzarda a definire coraggiose le novità apportate al programma. Non è dato sapere se saranno fortunate negli esiti, ma sono di sicuro ragionate e pensate negli obiettivi. Serviva un profilo come quello di Cristina Scabbia, chiamata a interpretare il ruolo di chi prova a dominare la partita giocandola dall'esterno, fuori dall'ecosistema pop al quale non appartiene. Un personaggio di questo tipo, che porta con sé anche una dose di mistero, non essendo nota al grande pubblico, contribuisce a uniformare The Voice allo schema di successo consolidatosi di recente a X Factor, dove Manuel Agnelli ha efficacemente indossato questi panni nelle ultime due edizioni. Serviva Al Bano per infrangere qualche schema e innescare dinamiche interessanti durante le blind audition, visto che la distanza in fatto di gusti e tradizione musicale tra Carrisi e gli altri coach è più ampia di quanto sia mai accaduto in quattro edizioni di The Voice (Raffaella Carrà, principale termine di paragone, era decisamente più pop di quanto non sia lui).
L'importanza di avere Costantino della Gherardesca
Serviva, infine, Costantino della Gherardesca perché ci si azzarda a dire che il problema storico di The Voice of Italy sia sempre stato quello di uno show di scarsa personalità, carente di quell'elemento che desse identità a un format troppo schematico e rigoroso nella sua logica televisiva originale. Questa è una cosa che il conduttore di Pechino Express può e sa dare ai programmi che conduce, ammesso che l'ambiente gli sia favorevole. Ci ha provato nella prima puntata, con alcune invasioni di campo meritevoli di interesse, ma rese incerte principalmente dal taglia e cuci di un montaggio spesso aggressivo. Con le puntate in diretta Della Gherardesca potrebbe scoprire positivamente una dimensione che è sempre parsa a lui meno congeniale rispetto alla differita. Renga e J Ax, invece, sembrano quelle colonne portanti dalle quali ci si aspetta più cautela e meno exploit. La loro esperienza in fatto di talent show gli permette di viaggiare col pilota automatico. Sono loro a tenere in piedi il programma, soprattutto in questa fase blind in cui il conduttore non è in studio.
I difetti storici di The Voice
Ma insomma, come è stata questa partenza di The Voice? Un verdetto dopo una sola puntata non ha credibilità, si tenderebbe ad escludere che ci possano essere fuochi d'artificio e risultati clamorosi, soprattutto perché la resa televisiva di The Voice restituisce ancora quel senso di inesperienza e approssimazione nella realizzazione dei talent show che riguarda tutta la Rai (non a caso, visto che l'azienda non ha una tradizione molto fortunata sull'argomento). Difetto che si riversa inevitabilmente sugli aspiranti talenti, segnati da quell'inconfondibile alone di provincialismo.
Un buon programma, però, si può realizzare. Tutto dipenderà da due variabili: la qualità dei cantanti, appunto, e lo spazio che sarà capace di ritagliarsi il conduttore. Dovesse verificarsi una particolare combinazione combinzione di questi due fattori, l'edizione di The Voice of Italy 2018 potrebbe avere una storia interessante da raccontare.