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Simone Toscano: “Il dolore del padre di Lorys Stival mi ha tolto il respiro”

Fanpage.it ha intervistato Simone Toscano. Il giornalista di “Quarto Grado” ha raccontato alcuni aneddoti legati al suo lavoro, le minacce subite, le sue impressioni sui casi di Elena Ceste, Lorys Stival e Valentina Salamone. Inoltre, ha parlato del suo primo romanzo “Il Creasogni”.
A cura di Daniela Seclì
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Fanpage.it ha intervistato Simone Toscano. Il giornalista è noto agli spettatori per le tante inchieste curate per “Quarto Grado”. Il 25 marzo è uscito il suo primo romanzo “Il Creasogni”, una fiaba per adulti dove si avverte il sapore del mestiere di giornalista. Alcuni dei personaggi, infatti, portano i nomi dei protagonisti dei casi di scomparsa che più hanno colpito l’autore. Dopo averci annunciato che a giugno ripartirà il programma “Segreti e Delitti”, ci ha raccontato alcuni aneddoti sul suo lavoro, le sue percezioni sui casi di cronaca che hanno sollevato più dibattito e quel meraviglioso viaggio che ha scandito la scrittura del suo romanzo.

DS: Hai seguito decine di casi di cronaca. A volte hai dovuto far fronte anche a delle minacce. Come vivi i momenti in cui il tuo lavoro ti espone a seri rischi?
Forse con un po’ di incoscienza, quella necessaria per fare questo lavoro. Per chi fa il “cronista di strada”, le minacce del tipo “ti spacco la faccia” possono capitare. Ovviamente te le aspetti in alcuni luoghi pericolosi oppure quando stai trattando casi di omicidio e cerchi di mettere in luce aspetti poco chiari. Ho saputo che il mio nome è finito sulla lista di qualcuno poco raccomandabile in un paio di occasioni, ma ci può stare, direi. Magari evito di ripassargli sotto il naso, quello sì. In generale però non sono mai stato di fronte a pericolo di vita. L’episodio che mi ha colpito di più è stato quando in Messico, sulle tracce di Angela Celentano, la mia troupe si è rifiutata di portarmi – per la prima volta – in una strada, perché lì viveva un uomo dei Narcos. Ho provato in tutti i modi a convincerli, nulla da fare. Diverso il caso delle minacce subite “senza colpa”, quando magari ti fanno scontare leggerezze o domande “stupide” fatte da qualche collega che prima di te ha pensato di fare lo scoop della vita fregando il prossimo. Ecco, quello fa più male.

DS: Sempre più spesso, il giornalista si trova a doversi confrontare con gli inquirenti. Che rapporto intercorre tra queste due figure?
Sono due lavori chiaramente distinti ma che viaggiano su due binari paralleli: noi possiamo aiutare loro e loro possono darci degli spunti da approfondire. Perché a volte le persone parlano più con un giornalista che con un poliziotto o un carabiniere. Una delle cose più belle è la possibilità di contribuire alle indagini. Molto spesso a noi di Quarto Grado è capitato che le nostre interviste, il materiale “girato”, sia stato acquisito dalla Magistratura ed utilizzato in un’inchiesta. Una piccola soddisfazione per noi.

Il caso dell’omicidio del piccolo Lorys e quello di Elena Ceste

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DS: Hai trattato per “Quarto Grado” l'omicidio del piccolo Lorys Stival. Come ti approcci a casi come questi, che emotivamente spezzano il cuore ma che il tuo lavoro ti impone di affrontare con distacco?
Il caso di Lorys è uno di quelli che mi hanno colpito di più. Ho avuto modo di intervistare Davide Stival, il padre del bambino e posso assicurare che è uno di quei momenti che non dimenticherò mai. Come anche il suo sguardo, di un ragazzo provato, piegato da due tragedie, la perdita di un figlio e le accuse durissime verso la moglie Veronica. Uscito da quella porta, ad intervista finita, mi sono dovuto fermare un attimo e respirare. È difficile vivere queste situazioni, ma credo si debba comunque cercare di non distaccarsi eccessivamente, di non diventare cinici. Dobbiamo mantenere comunque un po’ di umanità, anche a costo di starci male, perché è proprio quella umanità che ci permette di non dire “mostruosità”, di non calpestare la dignità delle persone.

DS: Ti sei occupato anche della morte di Elena Ceste. Michele Buoninconti è stato accusato dell’omicidio. Qual è stata la tua impressione vivendo il caso sul campo?
L’impressione più forte, più che le incognite sulla colpevolezza o meno di Buoninconti, è che in quella casa si vivesse un rapporto impari tra marito e moglie, con un uomo con una idea di famiglia che non corrisponde al nostro tempo. Un “piccolo mondo antico” con la moglie che sta a casa, fa le torte, cucina, aspetta il marito che ritorna ed è a lui votata. Chiariamoci: non vuol dire che una donna che non lavora sia succube del marito, ma ogni situazione dipende da come la si vive. Apparentemente e dai racconti ascoltati, quella situazione era sicuramente soffocante per Elena Ceste, soprattutto negli ultimi tempi. C’è da capire se abbia o meno provato a “divincolarsi” a tal punto da scatenare nel marito una follia omicida, quella di chi non riesce ad accettare l’allontanamento dell’altra persona, vissuta come “proprietà privata”. Una realtà che purtroppo molte donne di cui parliamo a Quarto Grado, sono state costrette a subire.

La spettacolarizzazione del dolore e le accuse a Barbara D’Urso

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DS: Quando si affrontano casi particolarmente delicati, un giornalista rischia di essere accusato di spettacolarizzazione del dolore. Quanto è difficile fare bene il proprio lavoro, senza ferire l’interlocutore?
Credo il giornalista debba avere un rispetto triplice: nei confronti dell’intervistato, del telespettatore/lettore e anche nei confronti di se stesso. È importante mettersi nei panni degli altri, ricordare che forse non ci farebbe piacere ascoltare la domanda “signora come si sente?” se ci fosse capitata una tragedia come la perdita di un figlio. Certo, a tutti può capitare di sbagliare, ma credo che a Quarto Grado sia quasi impossibile ascoltare un “signora come si sente?”. Cerchiamo di andare oltre e tutto il materiale che viene mandato in onda, viene trasmesso dopo averne preventivamente parlato con i diretti interessati. Noi non facciamo “agguati televisivi”. Nelle nostre riunioni parliamo di “persone”, non di “pedine” con cui riempire un programma.
DS: A tal proposito, cosa pensi delle accuse mosse dal Presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Iacopino, nei confronti di Barbara D’Urso?
Credo che la professionalità dei colleghi di Videonews sia fuori discussione. Una testata giornalistica seria che negli ultimi anni ha raccontato un Paese in evoluzione.

“Il Creasogni”, il primo romanzo di Simone Toscano

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DS: Il 25 Marzo è uscito il tuo primo libro. Lo hai definito “una favola per adulti”. Cosa ha significato per te scriverlo?
È stato un modo per raccontare il Bene, da parte di chi con il Male ci si scontra di settimana in settimana. Nel mio libro il protagonista, Ettore, ha un dono unico al mondo, quello di riuscire a creare sogni per gli altri. Lui invece, indurito dal tempo e dai problemi della vita, ha smesso di sognare per sé. Il libro è una “favola”, un racconto scritto con parole semplici che cercano di raccontare concetti “alti” – un po’come accade nel Piccolo Principe – ed è un percorso lungo 192 pagine, che porta il lettore a riscoprire l’importanza delle cose semplici, del sogno inteso come speranza, come capacità di guardare al mondo in maniera positiva. Ovviamente il mio, di mondo, è entrato nel libro: c’è una scomparsa anche qui, quella di Catello, un bambino che il protagonista ha adottato. E proprio quella scomparsa sarà la scintilla che accenderà Ettore, gli farà mettere in discussione le sue certezze e gli farà vedere i suoi limiti. Anche nei nomi il mestiere di cronista entra nel Creasogni: Catello è infatti il nome del padre di Angela Celentano, una storia che mi è entrata nel cuore e che ho a lungo seguito. E poi c’è Melissa, una delle coprotagoniste, che si chiama così perché mentre scrivevo quei capitoli mi trovavo a Brindisi, per raccontare l’attentato alla scuola Morvillo-Falcone in cui perse la vita proprio una ragazza di nome Melissa. Ecco, a quella famiglia io avrei voluto dare un abbraccio, donare speranza. Non potendolo fare di persona ho sentito di dare un nome così dolce ad una bambina che nel libro vive una situazione drammatica ma poi ne uscirà. Una nuova vita, una dedica, un “abbraccio virtuale” alla vera Melissa.

DS: Cosa ha ispirato la storia e quanto c’è di te nel personaggio del Signor Ettore?
L’idea è nata di ritorno da una trasferta nel periodo post-terremoto che ha colpito l’Abruzzo, nel 2009. Sono arrivato a casa, ho buttato giù un paio di capitoli, ma mi sono fermato, non sapevo come sviluppare la storia. È arrivata solo qualche anno più tardi, al termine di una relazione importante, uno di quei momenti in cui ti metti in discussione e capisci che forse hai privilegiato troppo a lungo una visione “materialista” della vita. Ci sono fasi in cui smetti di sognare e le persone che ti stanno accanto e hanno la capacità di farlo ti sembrano perditempo, inconcludenti. Per fortuna io ho compreso che invece no, sognare non è una perdita di tempo, sognare è sperare, è avere un obiettivo positivo, è vedere il bicchiere mezzo pieno, è sorridere al mondo sperando che prima o poi quel sorriso ti torni indietro.
DS: Nei ringraziamenti de “Il Creasogni” citi la famiglia di Valentina Salamone. Sei stato tu a far riaprire il caso che sino ad allora era stato catalogato come un suicidio. In che modo, questa vicenda sottolinea il ruolo della tv in rapporto alla possibilità di avere giustizia?
Valentina era una ragazza che per la Giustizia si era suicidata. La famiglia non la pensava così, “Valentina è stata uccisa”, continuavano a ripetere senza che nessuno li ascoltasse. Ne abbiamo parlato a lungo in redazione e abbiamo deciso che quelle carte, quei dati che la famiglia ci aveva fornito, parlavano chiaro: Valentina non si era potuta suicidare. Abbiamo iniziato le nostre inchieste, ho scoperto dei comportamenti da parte di persone a vario titolo coinvolte in questa vicenda, che mi fanno vergognare come cittadino. Ecco l’importanza della televisione: dal giorno dopo qualcosa è cambiato, le nostre inchieste hanno messo in luce errori e lacune nelle indagini, il caso è stato preso in mano dalla Procura Generale di Catania e si è arrivati al riconoscimento di quello che già sapevamo, si è passati da “suicidio” ad “omicidio”. A distanza di anni sono entrati in campo i Ris di Messina. Il cammino è ancora lungo ma sono sicuro che prima o poi si arriverà ad avere giustizia e quel giorno sarà la più bella notizia che avrò mai dato finora. Anche questo è un sogno. Non riporterà indietro Valentina ai genitori, ma almeno potranno avere una “pace” relativa, finalmente.

DS: Se potessi chiedere a Ettore di creare un sogno per te, quale sarebbe?
Dal punto di vista lavorativo vivo il mio sogno più grande, perché il mio mestiere è il più bello del mondo e quello che ho sempre sognato di fare, fin da bambino. Anche questo è un percorso, che a Mediaset ho iniziato a 23 anni, dieci anni fa oramai e che spero continuerà ancora a lungo e con mille sorprese e opportunità di crescita. Ovvio poi che la vita non è fatta solo di lavoro e dunque anche nel privato spero di riuscire a “chiudere il cerchio”, soprattutto negli affetti. E poi ci sono tanti progetti: scrivere altri libri, magari uno spettacolo teatrale. Chissà. Il bello dei sogni è che non c’è un limite, sono gratuiti. E i più belli forse sono quelli che dobbiamo ancora sognare.

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