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Quando Moretti sfidò Monicelli in tv

Correva l’anno 1977 e il programma televisivo Match invitava Nanni Moretti, allora esordiente e vivace progressista, e Mario Monicelli a parlare di cinema italiano. Fu uno scontro verbale acceso ma mai volgare, bell’esempio di una tv che non esiste più.
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Correva l'anno 1977 e il programma televisivo Match invitava Nanni Moretti, allora esordiente e vivace progressista, e Mario Monicelli a parlare di cinema italiano. Fu uno scontro verbale acceso ma mai volgare, bell'esempio di una tv che non esiste più.

Era il 1977 quando la seconda rete di Stato, in occasione della prima messa in onda di Io sono un autarchico, opera prima di Nanni Moretti, invitò il giovane autore, all'epoca esordiente e vivacemente progressista, e Mario Monicelli che da poco aveva finito di girare Un borghese piccolo piccolo, capolavoro intepretato da Alberto Sordi, a discutere della situazione del cinema italiano nella trasmissione Match, condotta da Alberto Arbasino. Fu uno scontro acceso sotto l'aspetto verbale, quasi epico tra due generazioni diverse, l'uno classico, l'altro avanguardista, ma che mai cadde nella zuffa televisiva. Per quello occorrerà aspettare almeno un altro lustro, con l'avvento delle televisioni commerciali e della presenza  sempre più incessante di Vittorio Sgarbi. Riascoltare questa piacevole chiacchierata tra i due registi dopo quasi 35 anni ha un valore inestimabile, ci restituisce una sequenza televisiva altissima, con l'atteggiamento quasi paterno di Monicelli fermo quasi sempre all'ascolto di un Moretti che sembra interpreti a tavolino il ruolo del saccente che cerca a tutti i costi lo scontro generazionale, salvo rimetterlo in riga con due semplici parole nel finale dell'intervista.

Mario Monicelli osservava su Nanni Moretti che Io sono un autarchico è la classica commedia all'italiana mentre il regista, oggi Presidente della Giuria all'ultimo Festival di Cannes, storceva il muso. Per Moretti, in particolare, era sbagliato (e chissà se lo sarà ancora) considerare la commedia all'italiana come propulsore per la maturazione della coscienza collettiva nazionale. Su venti minuti di conversazione, la stoccata decisiva del regista più esperto a quello più giovane arriva, come da copione, nei minuti finali della trasmissione. Un touché  spettacolare che segna la fine delle ostilità:

Si sta parlando da un anno di un film che tu hai fatto (si riferisce a Io sono un autarchico, ndr), che hanno visto in pochissimi, hai avuto la fortuna che ne hanno parlato tutti quanti e adesso si vedrà anche in televisione. Ma guarda che il tuo film è un buon film, ma nulla di più. Si sta creando questa cosa che tu sei il nuovo esponente di una Nouvelle Vague italiana, non è vero. Sei un buon regista che si è fatto una grande pubblicità, sei stato il tuo press agent più straordinario che ci sia da quarant'anni ad oggi. Che poi il tuo film sia grazioso, ma ti assicuro che è molto meno di quello che tu creda.

Nanni Moretti, alla distanza, uscì sconfitto da questo "match" televisivo, complice anche l'esperienza. Al tempo aveva appena 24 anni, un solo film all'attivo e la spocchia tipica del giovane emergente. Mario Monicelli di anni ne aveva 62, di film in cascina ne aveva messi già trenta. Le differenze emergono tuttora, dopo 35 anni, le due filmografie a confronto sono diversissime, forse di Moretti si pensava al tempo, erroneamente, potesse incarnare una nuova commedia all'italiana. Il regista nato a Brunico, putroppo o per fortuna, è stato altro, lontano anni luce dai pensieri messi in pellicola da Monicelli. Due grandissimi linguaggi, patrimonio della nostra memoria storica, tra "supercazzole" e "sentimento popolare".

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