“Permette? Alberto Sordi”, Edoardo Pesce: ‘Non è stata un’imitazione, solo un tenero omaggio”
Il 24 marzo arriva in prima serata su Rai1 "Permette? Alberto Sordi", il film che ripercorre i primi vent'anni di carriera dell'attore romano morto nel 2003, in occasione del centenario dalla sua nascita. Un film scritto e diretto da Luca Manfredi, che dopo aver ripercorso la vita del padre Nino si cimenta in un'opera carica di aspettative, visto il peso del mito di Sordi. A farlo rivivere sul piccolo schermo è Edoardo Pesce, che racconta a Fanpage.it l'esperienza di misurarsi con un gigante della nostra storia.
Raramente il cinema e la televisione si sono arrischiati a raccontare i grandi del cinema italiano. Interpretando Sordi senti di rompere in un certo senso un tabù?
Ad aprire le danze è stato proprio "In Arte Nino" con Elio Germano e devo dire che l'impalcatura di questo film è molto simile, perché l'intento è lo stesso: fare un piccolo e affettuoso omaggio, in questo caso per il centenario, che ripercorre quegli anni di vita di Sordi come un album di fotografie in movimento. Riprende gli eventi più importanti della sua vita in un susseguirsi di istantanee significative.
Da napoletano ti dico che qui un film su Totò o Troisi, per dirne due a caso, verrebbe accolto con perplessità. Da romano, se non fossi stato tu a interpretare Sordi, saresti stato scettico?
Ma certo che lo sarei. Ed ero scettico anche quando Luca Manfredi me lo ha proposto. Però io credo che certi personaggi vadano raccontati, parlo anche di Totò o De Filippo. Parliamo dei primi anni della carriera di Sordi, un tempo talmente lontano da noi da avere una valenza storica. Non dico che è come fare Pantalone o Arlecchino, ma sicuramente rievoca una fase primordiale del mondo dell'intrattenimento che ci fa capire anche come funzionavano certe cose. Fare Sordi come lo abbiamo voluto fare noi è come interpretare una maschera che quasi non appartiene più al nostro tempo.
Da quello che hai potuto percepire, i giovani conoscono Alberto Sordi?
No, non mi pare che lo conoscano. Poi è chiaro che può essere un'impressione approssimativa, ma da quello che mi è parso la massa dei ragazzi di oggi non ha una percezione chiara del mito di Sordi.
Il film, quindi, è dichiaratamente rivolto a chi già lo conosce.
Non ha un destinatario preciso, la speranza è che lo vedano tutti, ragazzi compresi. Dipenderà anche dai genitori a casa, io avevo mio nonno che mi faceva vedere le commedie di Eduardo, ma forse erano tempi diversi.
Domanda delle domande: come hai individuato il confine tra somiglianza e imitazione?
Inizialmente cercavo di leggere le battute sul copione come fossi Edoardo. Poi il processo di sordizzazione è arrivato col tempo, togliere un po' la erre, tendere a riprodurre la sua parlata tipica. Ho tenuto delle cose mie, a volte intervenendo anche sulla sceneggiatura insieme a Luca, ma la mimesi è venuta in modo naturale, non automatico. In fondo somigliargli era inevitabile, penso che le persone vogliano rivedere il personaggio, quell'idea generale di Sordi. Avere un approccio troppo naturalistico, che si sforzasse di far prevalere Edoardo Pesce su Alberto Sordi, secondo me non avrebbe funzionato per un'operazione di questo tipo.
Il mito di Sordi ha fagocitato la sua dimensione umana, il racconto della persona si riduce a pochi aneddoti sul suo conto, dal non essersi mai sposato al suo rapporto con il denaro. In questo film cosa scopriremo di Sordi che non conoscevamo?
Ho letto le polemiche di questo parente, che dice ci sia poco più di ciò che troveremmo su Wikipedia. In parte ha anche ragione, semplicemente perché la volontà del film è proprio quella di rendere omaggio al mito ripercorrendo i momenti chiave della sua vita in quegli anni. Non è un progetto introspettivo che va a scavare nei meandri dell'animo di Sordi e scoprire aspetti ignoti. Poi, per quanto il tempo del racconto permetta, andiamo anche più a fondo sul rapporto con suo padre musicista, con la madre dal carattere forte, l'amore con le sorelle, il suo faccione che non andava bene per il neorealismo del tempo.
Il siciliano stretto di Giovanni Brusca che interpreti ne Il Cacciatore, il romano di Sordi. Per un attore oggi è essenziale misurarsi con il dialetto, che invece a inizio carriera ha rappresentato per Sordi un grande limite. Questo fa capire quanto i parametri attoriali siano cambiati da allora.
Questo dipende molto dagli stili e dalle scelte registiche, se vuoi il neorealismo alla Garrone oppure se cerchi un effetto diverso, più immediato. In generale io credo nella forza della scrittura, il dialetto resta fondamentalmente un suono. Per l'epoca Sordi è stato rivoluzionario, ma in realtà aveva una dizione perfetta. Basta sentirlo alla radio o quando faceva doppiaggio, era impeccabile.
Domanda d'obbligo: com'è la tua quarantena da coronavirus?
Come quella di tutti. Sto in casa, faccio un po' di esercizi al mattino e suono la chitarra provando un po' di pezzi classici. È un periodo un po' distopico che diventa quasi reale a viverlo e penso che il flusso di informazioni continuo, anche in televisione, amplifichi la percezione. Bisogna anche un po' staccare da quel flusso. Posso solo sperare che si torni presto alla normalità.