Un ragazzo vestito di fucsia non può girare per le strade delle nostre città. A Milano come a Genova, a Firenze come a Pescara, a Bari come a Napoli, a Palermo come a Catania. Non giriamo troppo intorno all’argomento: dopo l'aggressione omofoba, Sangiovanni ha ragione a dire che “c’è ancora una forte chiusura mentale”. I modelli comportamentali che ci hanno tirato su continuano a fare acqua da tutte le parti e hanno creato delle condizioni ai limiti dell’invivibilità civile.
Sangiovanni siamo noi, Sangiovanni sono i nostri figli
Sangiovanni siamo noi, che non ci sentiamo liberi di rompere le gabbie imposte da anni e anni di imbarazzanti distinzioni di genere (la più banale, appunto: il fucsia, il rosa, il glitter per le ragazzine, l’azzurro e il blu, la sicurezza di ogni maschietto). Ma Sangiovanni sono soprattutto i nostri figli che oggi crescono in un contesto che ha maggiore consapevolezza ma, per assurdo, meno diritti e meno tutele.
Oggi è un vestito fucsia, domani che cosa?
La vicenda Sangiovanni è la cartina tornasole di un problema che c’è e su cui si fa grande fatica a discutere. Le spalle larghe che ha avuto il cantante sono uno strumento utilissimo nel proprio bagaglio, nella propria cassetta degli attrezzi, ma purtroppo non sono “di serie” per tutti. Perché è esattamente così che comincia un’aggressione, proprio come è accaduto a Sangiovanni. Si parte da un banalissimo abito fucsia, ma può essere anche una polo fiorata. Oppure può essere un’acconciatura che non è conforme, non è allineata ai canoni mascolini. O cos’altro? Un pantalone a zampa di elefante? Uno smalto sulle unghia? E sul tavolo della politica resta ancora in alto mare la discussione sul ddl Zan, che sembra ormai infinita con le sue audizioni e il suo eterno rinvio di una giusta discussione in Aula, al Senato. Cosa stiamo aspettando?