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Perché la Cenerentola di Verdone non sia solo sabbia nel deserto

Per due serate e divisa in tre parti è stata trasmessa l’opera di Rossini per la regia di Carlo Verdone. C’è qualche dubbio sulla frammentazione della messa in onda e sulla paura che, come fa con altro, la Rai tratti la lirica come un occasionale tappabuchi.
A cura di Andrea Parrella
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Eludiamo qualsiasi disquisizione tecnica in relazione all'opera e alle caratteristiche puramente di genere della Cenerentola andata in onda domenica e lunedì sera in tre parti. Mi rivolgo ai più di due milioni di persone che hanno tenuto accesa la Tv su Raiuno nella fascia dell'access, dalle 20:30 all'inizio della prima serata, ieri e l'altro ieri, e al milione e qualcosa in più che ha seguito anche la seconda serata di domenica, fino a mezzanotte passata. La regia, come si sa (perché forse è stato lo stimolo principale a guardarla, o a non farlo per chi si definisse un appassionato) è di Carlo Verdone.

Provare ad analizzare il dato d'ascolto è abbastanza complesso, visti i fattori diversi che potevano influire  sul risultato. Anzitutto la durata breve delle tranche di accesso al prime time, visto che per un'oretta, sapendo che si tratta dell'ora coincidente alla cena, il fattore Verdone può garantire un grosso credito di sopportabilità. Poi ancora l'effetto sandwich tra il Tg e la prima serata, che potrebbe significare, al contrario di un successo, l'effetto della proverbiale pigrizia del pubblico di Raiuno, l'arrendevolezza a non scegliere personalmente. A conti fatti il risultato resta annebbiato nella sua interpretazione, poiché da buono che possa sembrare quello dei due access time, il verdetto verrebbe quasi sovvertito dal risultato della seconda serata di domenica, il quale vanta ascolti settoriali, di genere.

La verità è che non si capisce molto l'atteggiamento della rete verso questi gesti di "riconoscenza". L'ammiraglia Rai si sta confermando sempre di più come un luogo televisivo di facciata teso all'omaggio a cose, fatti, persone e forme d'espressione che hanno significato storicamente molto per il paese. La cosa non potrebbe che essere positiva se solo il senso prevalente non fosse quello del dovere, generando la percezione che nel risultato dell'omaggio, il valore della cosa venga sempre svilito. Accade per le santificazioni delle fiction, per il teatro di Eduardo, ora per la lirica: cattedrali nel deserto che non trasmettono il minimo sintomo di progettualità. Forse sarà perché le poltrone vanno e vengono ed ogni direttore di rete, o qualunque altra carica, preferisce dedicarsi alla costruzione di un successo fortunoso ed effimero durante il proprio mandato, anziché l'avvio di qualcosa di duraturo.

Attendibile o meno che sia questa interpretazione, è quasi inopinabile che, somministrata in questo modo, la lirica ha poco senso, se non altro perché non beneficia delle premesse e delle postfazioni che possano educare il pubblico a percepirla e fruirla per ciò che è.

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