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Morto Oscar Mammì, promotore della prima legge sulle tv private

Si è spento a 91 il firmatario della legge che a inizio anni Novanta affrontò il problema del pluralismo dell’informazione, facendo fronte all’arrivo delle reti private in Italia. Una legge da molti criticata perché colpevole di favorire le reti di Silvio Berlusconi.
A cura di Andrea Parrella
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Oscar Mammì è morto a 91 anni. Politico del Partito repubblicano, oltre che protagonista di sceneggiati televisivi, è noto soprattutto per essere stato ministro delle Poste e delle telecomunicazione dal 1987 al 1991 e aver impresso il suo nome sulla prima legge dell'emittenza televisiva. Oscar Mammì è legato per motivi personali a personaggi che lavorano attualmente nel mondo del cinema e della televisione. Suocero del critico e autore televisivo e cinematografico Marco Giusti, sposato con sua figlia Alessandra, è inoltre padre di Matteo, dirigente a Sky Sport e compagno della conduttrice Diletta Leotta. Nel 2005 Mammì interpretò il ruolo dell'Innominato nella fiction televisiva Walter e Giada, ispirata al romanzo I promessi sposi, prodotta dalla Endemol e trasmessa da Rai 3.

Cosa stabiliva la Legge Mammì del 1990

Quella firmata da Mammì fu la seconda legge organica di sistema che l'ordinamento italiano ha avuto in materia radiotelevisiva e fu emanata dopo la pronuncia di incostituzionalità della norma del 1985, che permetteva alle emittenti locali, attraverso il meccanismo delle syndication, di trasmettere a livello nazionale. In sostanza, il provvedimento aveva il compito di riordinare il sistema deregolamentato delle tv private italiane del tempo, quello che venne definito il Far West dell'etere.

Antefatto necessario: a metà degli anni Ottanta la Rai e altre emittenti locali denunciavano le reti Fininvest di Silvio Berlusconi di eludere un articolo della costituzione che impediva di gestire un impianto di telecomunicazioni senza dovuta concessione. Il famoso sistema delle videocassette, permetteva alle reti Fininvest di trasmettere in contemporanea i programmi attraverso un sistema d'interconnessione simultanea regionale. In buona sostanza i programmi venivano trasmessi alla stessa ora dalle varie emittenti locali, avendo così una copertura nazionale. Per questo motivo ci fu un oscuramento delle reti Fininvest, che portò il governo a discutere con urgenza un decreto e la situazione assunse condizioni di urgenza estrema per Craxi, che addirittura affermò senza una risoluzione si sarebbe andati ad elezioni anticipate. La soluzione si trovò con il decreto Berlusconi, che Amato trasformò da provvisorio in trasnitorio ("un orgasmo per un giurista", dichiarò in un'intervista a Report), e la spartizione della Rai col Tg3 al Partito Comunista e maggiori poteri al democristiano Biagio Agnes direttore generale dell'azienda.

La legge Mammì, che arrivò appunto dopo la pronuncia di incostituzionalità dei suddetti decreti, regolamentò il Far West in nome dei principi del pluralismo di informazione. Affinché tra i privati non si creasse una posizione dominante, la legge stabiliva che un unico soggetto non potesse possedere più del 25% delle emittenti.

Le critiche alla legge Mammì

I più critici della legge Mammì contestarono come questa, anziché occuparsi delle reali esigenze del sistema radiotelevisivo, finisse sostanzialmente per privilegiare troppo Fininvest, dopo anni nei quali decreti transitori come quelli della metà degli anni Ottanta avevano concesso al gruppo di Berlusconi di continuare ad agire indisturbato. Scrisse al tempo Vittorio Feltri:

Per quattordici anni, diconsi quattordici anni, la Fininvest ha scippato vari privilegi, complici i partiti: la Dc, il Pri, il Psdi, il Pli e il Pci con la loro stolida inerzia; e il Psi con il suo attivismo furfantesco, cui si deve tra l'altro la perla denominata ‘decreto Berlusconi', cioè la scappatoia che consente all'intestatario di fare provvisoriamente i propri comodi in attesa che possa farseli definitivamente. Decreto elaborato in fretta e furia nel 1984 ad opera di Bettino Craxi in persona, decreto in sospetta posizione di fuorigioco costituzionale, decreto che perfino in una repubblica delle banane avrebbe suscitato scandalo e sarebbe stato cancellato dalla magistratura, in un soprassalto di dignità, e che invece in Italia è ancora spudoratamente in vigore senza che i suoi genitori siano morti suicidi per la vergogna

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