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Masterpiece è un’ottima idea con un grande difetto: essere un talent show

Buona intuizione quella di un programma sulla scrittura, farne un talent show è un modo per celare l’incapacità di sviluppare quest’idea diversamente. In Italia si fa molta fatica a creare dei nuovi format.
A cura di Andrea Parrella
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Vittima di un intenso chiacchiericcio da mesi, ieri sera ha fatto il suo esordio "Masterpiece", il format che osa presentare come parte essenziale di uno scrittore ciò che di lui dovrebbe interessarci di meno: l'identità, la faccia. Una cosa è certa, ha fatto storcere alcuni nasi, di altri ne ha esaltato la puzza. Quanto di concreto va evidenziato è la buona idea, coraggiosa, di partenza. A mancare sono state le intuizioni per sviluppare questa buona idea in modo originale, dunque si è proceduto rigorosamente ad articolare "Masterpiece" in modo analogo ad ogni altro talent show: che di un programma sulla scrittura se ne potesse percepire la mancanza (il bisogno, o meglio lo sfizio), lo si poteva anche ammettere; che quella scelta fosse la sola strada da battere per caratterizzarlo, lascia decisamente perplessi.

Non era mai esistito un talent sulla scrittura – E non sarà un caso, verrebbe da dire, che nessun folle si fosse mai arrischiato a pensarla come una possibilità prodiga di effetti positivi. Forse il programma sarebbe stato molto di più che un rigoglioso tappeto per esercizi di ironia su Twitter se di "talent" avesse avuto meno che niente, se non fosse stato un calco evidente di altre cose che esistevano già. E invece giù con questa storia del "per me è sì/per me è no", dell'accenno alla discussione tra i partecipanti; elementi prevalenti rispetto ad altre cose più suggestive, come le discussioni tra Coppola e i singoli aspiranti prima dell'incontro con i tre giudici. Insomma, Masterpiece è stato esattamente come lo si era immaginato, caratteristica che lo rende accettabile ad un pubblico avvezzo alla somministrazione di un certo genere di programma, ma che di nuovo dice molto poco. E' stato adattato un format, quando forse se ne poteva creare uno nuovo.

Che poi sia stato fatto di tutto affinché il programma fosse ugualmente commestibile, perché si coprisse con professionalità l'assenza di intuizioni per uno sviluppo originale a beneficio di un'idea di partenza che non si poteva lasciar morire, è una realtà nei confronti della quale non si può girare la faccia. Un'ora di televisione godibile, con un italiano parlato correttamente, che in fondo è una rarità. Al netto delle pletore di intellettualismo sui social network, una sola richiesta impera: per favore, che nessuno inizi a contare a quanti alberi sprecati corrispondano le 100mila copie che Bompiani stamperà per il vincitore finale.

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