Massimo Giletti a Fanpage.it: “Tornare in Rai? Vorrei rimanere a La7 per essere libero”
La stagione televisiva si avvia alla conclusione e quella di La7 è nel segno di Massimo Giletti. La fine della quarta stagione Non è l'Arena si chiuderà con la puntata del 13 giugno, ma prima il conduttore andrà in onda con "Abbattiamoli" (giovedì 10 giugno, 21.30 su La7) uno speciale sulla mafia, tema di cui Giletti torna a parlare in prima persona, sul campo, a poco meno di un anno dall'assegnazione della scorta per le minacce subite dal boss Graviano.
Giletti, come sta?
Sono un po' stanco, questo racconto sulla Sicilia iniziato a febbraio è faticoso, sono più di 20 ore di girato e tirarne fuori solo tre e mezzo non è uno scherzo. Sono tornato alle origini, nella stessa terra in cui lavoravo con Minoli. Negli anni Novanta mi occupavo delle dighe che non avevano i canali, ritorno in luoghi che conosco molto bene.
Il giornalista vive nascosto, deve sapersi mimetizzare, si può fare questo lavoro sul campo seguiti dalla scorta?
Di certo complica un po' di più la vita se vuoi fare questo lavoro. Ma devo dire che i carabinieri che mi hanno seguito sono stati intelligenti, hanno avuto la capacità di comprendere quando fosse il caso di lasciarmi un po' di spazio in più. Quando ho fatto un faccia a faccia con il figlio dell'uomo che copriva la latitanza di Provenzano a Mezzojuso, le persone che mi proteggevano hanno saputo garantirmi la possibilità di lavorare in modo sereno.
Approfondimenti di questo tipo erano parte del progetto iniziale con La7, quello di combinare il talk classico ai reportage.
Sì, anche se realizzarlo a livello importante è molto faticoso. Dovendo condurre un programma settimanale di oltre 5 ore, era necessaria una suddivisione del lavoro. Lo abbiamo fatto in tre, con Sandra Amurri, giornalista esperta di temi legati alle mafie, e la mia capoprogetto Emanuela Imparato.
Nei confronti della sua Tv sembra esserci una sorta di pregiudizio ideologico. Questa cosa le pesa?
Io sono un cane sciolto, non frequento salotti e non sono protetto. Mi spiace che questo pregiudizio ci sia, ma la valutazione dovrebbe essere solo sul prodotto, non su chi lo fa. Ad ogni modo ho altri tipi di riconoscimenti, ad esempio quelli degli uomini che hanno dato la caccia ai super latitanti mafiosi, magistrati, prefetti.
In Rai era un ibrido, a La7 ha messo da parte ogni velleità per l'intrattenimento.
Da quando sono passato a La7, travolto da quella tempesta di censure Rai che mi costrinse a chiudere L'Arena, ho avuto la libertà di portare avanti battaglie che lì sarebbero state impossibili. Abbiamo scomodato ministri, commissari, molto spesso avendo ragione.
Eppure questa narrazione eterna del ritorno in Rai la accompagna insistentemente.
È ovvio che quando uno lascia un'azienda in cui ha lavorato 30 anni non si può essere indifferenti. Però le sconfitte temprano l'uomo e io da quella sconfitta ho trovate le energie per ripartire. Nella sofferenza sono cresciuto e a 4 anni di distanza continuo a ringraziare Mario Orfeo per avermi cacciato dalla Rai. Allora non lo capivo. Mi ha reso una persona migliore.
Forse la Rai in questo momento non potrebbe nemmeno darle ciò di cui ha bisogno.
Sono d'accordo, sento anche io che non potrei trovarci la libertà necessaria. Quello che mi fece male al tempo fu la squadra del programma sfaldata. La mia forza è sempre stata il gruppo, io do tanto ma chiedo tantissimo e stare con me non è semplice.
Quindi quello di domenica prossima non sarà "l'ultimo concerto" a La7?
Non c'è ancora nulla di certo ma spero di no, mi auguro che il mio percorso con il presidente Cairo possa andare avanti. Oggi mi preoccupo di questo speciale e poi respirerò per qualche settimana.
La domenica di quest'anno è stata più complicata?
Molto di più. L'ideale era quando trovavo Fazio su Rai1, ora è ancora più complicato con le fiction che fanno ascolti enormi.
Una cosa certa della televisione che lei fa è la riconoscibilità. Si sente di aver inventato un genere?
Io credo alla televisione come a una contaminazione di linguaggi. Non so se abbia creato un genere, penso di avere coniato un linguaggio che mi permette di raccontare cose ostiche, affinché siano comprensive per tutti.
Un terreno scivoloso.
Io sono questo, uno che va in trincea. Credo che le persone vogliano da me questo, non giro la testa dall'altra parte. I giornalisti, oggi più che mai, devono essere dei cani da guardia, altrimenti sono compartecipi del sistema.