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Mario e Giuseppe Francese, il giornalista che svelò l’ascesa di Riina e il figlio che lottò per la verità

La fiction ‘Delitto di mafia – Mario Francese’ narra la storia del giornalista che svelò per primo la scalata di Totò Riina a Cosa Nostra. L’uomo non aveva paura di fare nomi e cognomi, nonostante alcuni suoi colleghi banalizzassero le sue intuizioni e lo accusassero di avere la tendenza a esagerare. Il 26 gennaio 1979 venne assassinato. Il figlio Giuseppe aveva 12 anni. Troppo pochi per non lasciarsi dilaniare dalla vista del corpo martoriato del padre. Promise che gli avrebbe reso giustizia. Vent’anni dopo l’omicidio, con l’arrivo delle prime condanne, il giovane ritenne compiuto il suo lavoro. Il 3 settembre 2002 si tolse la vita.
A cura di Daniela Seclì
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Da sinistra Mario Francese, Claudio Gioè, Giuseppe Francese, Marco Bocci
Da sinistra Mario Francese, Claudio Gioè, Giuseppe Francese, Marco Bocci

Domenica 21 gennaio, Canale5 ha trasmesso la seconda fiction del ciclo ‘Liberi Sognatori‘. Il film ‘Delitto di mafia – Mario Francese‘ con la regia di Michele Alhaique ha ripercorso la storia del giornalista (interpretato da Claudio Gioè) che negli anni '70 denunciò le mani dei Corleonesi sugli appalti pubblici siciliani. L'uomo intuì dinamiche sfuggite persino agli inquirenti e comprese il ruolo centrale del contadino Totò Riina. Mario Francesce non aveva timore di fare nomi e cognomi e per questo venne ucciso. Un mese dopo l'omicidio, su di lui piombò il silenzio. Il figlio Giuseppe (interpretato da Marco Bocci), con caparbietà e coraggio, fece riaprire il caso. Vent'anni più tardi arrivarono le prime condanne. Il giovane, esausto per la lunga e dolorosa battaglia, ritenne il suo compito finito. Si suicidò il 3 settembre del 2002. Aveva 36 anni.

Mario Francese raccontò la mafia quando tutti tacevano

Mario Francese nacque a Siracusa il 6 febbraio 1925. Negli anni '50 ebbe inizio la sua carriera di giornalista che portò avanti come fosse una missione. Dopo aver intrapreso una collaborazione con il ‘Giornale di Sicilia', indagò sugli ambienti mafiosi. Intuì che alla mafia palermitana si stava affiancando quella di Corleone. I corleonesi, anzi, sembravano ancora più violenti e pericolosi. Mentre alcuni colleghi banalizzavano le sue intuizioni, ritenendolo un visionario o quantomeno un uomo tendente all'esagerazione, Mario Francese documentava l'ascesa del contadino Totò Riina e quella di Bernardo Provenzano. Inoltre, fu il primo a intervistare la moglie di Riina, Antonietta Bagarella e a ricostruire le più complesse vicende di mafia come la strage di Ciaculli e l'omicidio del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo.

26 gennaio 1979 – L'omicidio di Mario Francese

Come il figlio Giulio ha più volte dichiarato, Mario Francese era consapevole che sarebbe morto molto presto, ma non ha mai mostrato di avere paura. In lui era salda l'intenzione di percorrere fino in fondo la strada della legalità. Finché ne ha avuto la possibilità, ha continuato a denunciare a gran voce, le mani della mafia sugli affari pubblici siciliani e a puntare i riflettori su quel legame che sembrava unire mafia e politica.

"Uomini del Colorado, vi saluto e me ne vado": con queste parole Mario Francese si congedò dai colleghi la sera del 26 gennaio 1979. Lasciò la redazione del ‘Giornale di Sicilia' per tornare a casa. Il giornalista raggiunse viale Campania, a Palermo. Era ormai nei pressi della sua abitazione quando venne freddato da sei colpi di pistola. "Dopo un mese era già una vittima dimenticata": racconterà il figlio Giulio.

La battaglia del figlio Giuseppe

Il più piccolo dei figli di Mario Francese, Giuseppe, aveva solo 12 anni quando sentì gli spari in strada. La tragedia sconvolse la sua vita. L'innocenza ormai violata, portò la sua vicenda umana a intraprendere un'altra direzione. I giochi lasciarono il posto alla sete di verità. Il vuoto lasciato dal padre si fece ancora più amaro a causa della lentezza della giustizia. Giuseppe raccolse gli appunti di Mario Francese, incoraggiò i familiari quando sembravano cedere alla rassegnazione, si impegnò in una battaglia quotidiana, continua, caparbia. Tentò di ricostruire l'omicidio del padre, di dare un volto e assicurare una pena ai colpevoli. Ecco come lui stesso raccontò gli anni che seguirono all'assassinio del giornalista:

"Avevo dodici anni quando la sera del 26 gennaio del 1979 ho sentito da casa quella tragica sequenza di colpi di arma da fuoco. Sei per l'esattezza. Da lì a poco scoprii che quei colpi avevano centrato il bersaglio, e che il bersaglio era mio padre, il giornalista Mario Francese. Da quel tragico momento la mia vita è stata sconvolta, come se quel lugubre rosario di colpi avesse leso irrimediabilmente qualche punto nevralgico della mia esistenza. Intanto crescevo ma contemporaneamente cresceva dentro me, diventando sempre più grande, un immenso vuoto ed un'incredibile ansia di giustizia. Ammetto che per un breve periodo la sete di verità si è trasformata in rassegnazione per una giustizia assai lenta ad arrivare. Ma la rassegnazione presto si è trasformata in rabbia. Già, di ‘Castelli di rabbia' in questi quasi venti anni ne ho costruiti, e tanti. La mia rabbia cresceva e si alimentava soprattutto per certi comportamenti inspiegabili da parte di ‘amici' e ‘colleghi' di mio padre, che più di tutti avrebbero dovuto in qualche modo intervenire, fare qualcosa, lottare: invece, nulla. Dimenticato. Come se quel corpo martoriato in viale Campania non fosse mai esistito, come se quell'uomo semplice, corretto, buono, ma nello stesso tempo forte e tenace, non lo avesse meritato".

A uccidere Mario Francese fu Leoluca Bagarella

Trascorsi otto anni dalla morte di Mario Francese, le indagini si fermarono. Grazie anche a Giuseppe Francese, il caso venne riaperto a distanza di oltre vent'anni. Nel 2001 arrivarono le prime condanne in primo grado: 30 anni di reclusione Leoluca Bagarella – esecutore dell'omicidio – Totò Riina, Francesco Madonia, Antonino Geraci, Giuseppe Farinella, Michele Greco e Giuseppe Calò. Bernardo Provenzano venne condannato all'ergastolo come mandante dell'omicidio. Nel 2003, la Cassazione stabilì l'assoluzione di Pippo Calò, Antonino Geraci e Giuseppe Farinella per non avere commesso il fatto. Vennero confermati i 30 anni di carcere per Totò Riina, Leoluca Bagarella, Raffaele Ganci, Francesco Madonia, Michele Greco.

3 settembre 2002 – Il suicidio di Giuseppe Francese

Il 3 settembre 2002, un anno dopo il primo verdetto, Giuseppe Francese annotò su un taccuino: "Adesso il mio lavoro è finito". Quella battaglia durata più di vent'anni lo aveva stremato. Il dolore di vedere il corpo di suo padre martoriato dalle pallottole e il vuoto scaturito dalla sua assenza non gli avevano lasciato scampo. Così, quando ritenne di avere ormai reso giustizia a Mario Francese, decise che era il momento di andare. Si impiccò nella sua abitazione. Aveva solo 36 anni. Il necrologio diffuso dalla famiglia recitava: "Giuseppe se n'è andato. Ha svoltato in fretta l'angolo di questa vita che lo ha segnato nell'anima, cercando lassù, nell'abbraccio paterno, la pace".

Le parole di Giulio Francese, figlio del giornalista

Ecco il commento di Giulio Francese sulla fiction realizzata sul vissuto di suo padre:La morte di un giornalista passata sotto silenzio. Mio padre raccontava la mafia in Sicilia in tempi non sospetti: la mafia di Corleone, quella di Riina e di Bagarella, la mafia padrona. Raccontava a muso duro le nuove strategie violente, dimostrando da che parte stava. Anche fisicamente. Caduto lui è subentrato un silenzio pietrificante e dopo un anno non si parlava già più di lui. Ma il tempo è stato galantuomo, oggi mio padre è un punto di riferimento per il giornalismo siciliano. Usando le sue parole: ‘Non mi può succedere niente perché faccio il mio dovere‘. Questa rassegna Liberi Sognatori per me realizza un sogno. Grazie alla sensibilità di Valsecchi si racconta anche un uomo di grande passione, cuore e bontà“.

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