“L’unità d’Italia non l’ha fatta Garibaldi, ma l’ha fatta Mike Bongiorno”
La televisione è senza dubbio uno dei mezzi di comunicazione più diffusi in Italia e ci sembra opportuno, in occasione del 150enario dell’Unità, provare a ripercorrere le tappe fondamentali di quel processo che ha portato alla diffusione del tubo catodico prima (e del digitale poi) in tutte le case italiane. Proviamo a farlo in un modo diverso, attualizzando un po' l’argomento attraverso una carrellata di immagini che corrispondono alla ricerca “la televisione italiana” su Google.
Una “Googleata” insomma, come si dice in gergo: in pratica inseriamo la suddetta chiave nel motore di ricerca di Google e scopriamo cosa ci offre la sezione dedicata alle immagini. Un panorama eterogeneo e alquanto vasto, specchio di una realtà in continuo divenire che ha affondato le sue più antiche radici nel magico mondo del "bianco e nero" per poi tinteggiarsi dei colori più disparati pur di soddisfare l'occhio attento e curioso del telespettatore. Una tv che è notevolmente cambiata anche nell'aspetto, che è nata voluminosa e un po' ingombrante e poi si è trasformata negli attuali modelli salvaspazio.
A ben vedere, è facile scorgere colui che ha dato un volto e un’identità ben precisa alla tv nazionale: Mike Bongiorno. Molti dirigenti storici della Rai ultimamente hanno commentato i 150 anni dell’Unità con un pizzico di ironia: “L'unità d'Italia non l'ha fatta Garibaldi, ma l'ha fatta Mike Bongiorno”, elogiando le eroiche imprese affrontate dal noto conduttore tv nel ricompattare una nazione ancora molto divisa a livello sociologico e culturale nel momento del boom televisivo in tutta la penisola. Il primo quiz di Mr “Allegria!”, che molti ricorderanno essere “Lascia o raddoppia?”, insieme a Il Musichiere di Mario Riva, è stato in assoluto il programma più seguiti ed apprezzato della televisione degli anni ’50, che riuscì a diffondere la moda del tubo catodico con un entusiasmo mai visto prima.
Questo perché l’Italia era ancora popolata da un folto numero di analfabeti, persone poco acculturate che “approfittavano” della tv del vicino di casa o del bar limitrofo per godersi l’avvincente gioco a premi, sprovvisti purtroppo dell’”apparecchio”, ancora troppo caro per entrare nella maggior parte delle case italiane nel periodo del dopoguerra. Insomma, una situazione discriminante, specchio di una società divisa sia dal punto di vista economico che culturale. Un divario così tanto sentito che intorno agli anni ’60 nacque la trasmissione Non è mai troppo tardi, condotta dall’insegnante Alberto Manzi, che riuscì a portare al conseguimento della licenza elementare circa un milione e mezzo di adulti.
Ormai la televisione non rappresentava più solo un mezzo di puro intrattenimento ma assumeva sempre di più un valore antropologico, didattico e formativo. Fu questo il motivo per il quale anche la carta stampata, nel medesimo periodo, si avvicinò pian piano al nuovo mezzo di comunicazione e spinse il giornalista Ugo Buzzolan ad intraprendere la prima rubrica di critica televisiva.
"Ci ha portato il mondo in salotto" afferma la giornalista Valeria D'Onofrio in un video-reportage realizzato per la trasmissione Porta a Porta, "una consegna a domicilio della vita in tutte le sue sfaccettature. L'Italia rimase frastornata da quel moderno focolare dinanzi al quale si riuniva in gruppi numerosissimi, fatti di amici, vicini di casa, familiari, conoscenti, in un gioco di squadra. La tv informava, spiegava, intratteneva, univa e stupiva: stupire, era lì la sua forza, in quel bagliore azzurrino, in quella scala di grigi insufficiente e fastidiosa per occhi moderni, ma che allora aveva il potere magico di colorare le immagini e un pò anche i sogni".
Un palinsesto sempre più ricco di programmi e rubriche, che cominciò a necessitare di una presentazione ufficiale: si assistette così all’avvento delle famose “signorine buonasera”, capeggiate dalla pioniera Nicoletta Orsomando (non a caso protagonista della nostra Googleata, insieme ad Annie Ninchi, anche lei annunciatrice Rai dal 1954).
Gli anni ’70 videro la nascita delle reti locali e negli anni ’80 anche le reti private, grazie all’intervento di Bettino Craxi, vennero legalizzate a livello nazionale, scavalcando per la prima volta il monopolio di stato delle reti Rai. Con l’avvento di Fininvest (poi divenuta Mediaset) e del predominio sugli ascolti tv delle reti di Silvio Berlusconi, si verificò un cambio della guardia anche sul punto di vista dei contenuti: una lenta ma profonda trasformazione che tutt’oggi continua a scatenare numerose polemiche sul ruolo della donna negli intricati meccanismi del piccolo schermo e sulla qualità dei programmi televisivi. Passaggio obbligato a nuovi format come reality show e talent show, format popolari come il Grande Fratello, Amici di Maria De Filippi o X Factor, tutti accomunati ed alimentati da un forte spirito “voyeuristico". Una televisione inizialmente innovativa e accattivante, ma nel tempo molto contestata, considerata priva di spessore e spesso ripetitiva.
A questo punto si fa sempre più insistente la domanda: “La tv italiana è lo specchio del nostro Paese?", siamo davvero noi i protagonisti di una tv sempre più “messa a nudo” e sottoposta al potere assoluto delle diete dimagranti e dei rimedi infallibili contro i chili di troppo? L’essere del popolo italiano è stato davvero divorato dall’apparire, a tal punto da impedire la fruizione di contenuti qualitativamente superiori e capaci di trasmettere un qual si voglia insegnamento utile?
Appare difficile rispondere vista l’entità della questione. Ci ha provato il massmediologo Gianluca Nicoletti, che si è interrogato sul mito della “buona e vecchia tv”, vista dal popolo italiano come mezzo di diffusione culturale ormai accantonato a favore di una più superficiale soluzione mediatica. Il video sottostante vi metterà in condizione di valutare da soli se e quanto sia cambiata la televisione in base alla modalità di fruizione dei suoi contenuti, perché stando alle parole di Nicoletti, questo ipotetico cambiamento non appare poi così sensibile all'occhio attento dei telespettatori.
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