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L’Unione Europea vuole limitare la diffusione di film e serie tv inglesi: ecco cosa sta succedendo

Il Regno Unito produce e vende più della metà dei contenuti televisivi on demand in Europa. L’UE vuole limitare lo strapotere britannico e favorire la diversità di contenuti. È un’iniziativa della Francia, appoggiata da Italia, Austria, Spagna e Grecia. La reazione britannica: “Facciamo parte della convenzione televisiva del Consiglio d’Europa, le nostre sono opere europee”.
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La Gran Bretagna è il più grande produttore di contenuti per il mercato audiovisivo in Europa e l'Unione Europea ha intenzione di fermare questo strapotere. Lo rivela il Guardian che è entrato in possesso di un documento che circola a Bruxelles, che è stato presentato l'8 giugno e che si chiama: "La presenza sproporzionata di contenuti britannici nelle quote di prodotti on demand europei e gli effetti sulla circolazione e promozione di lavori diversi". Un effetto diretto della Brexit oppure una reale volontà di favorire la più ampia diversità territoriale possibile di contenuti?

Il Regno Unito produce e vende più di tutti

L'accento del Guardian è ovviamente tutto orientato come effetto diretto della Brexit. Stando al quotidiano britannico, questo documento rappresenterebbe un "duro colpo per l'industria dell'intrattenimento britannica e per il soft power del paese all'estero". Sì, il Regno Unito produce e, soprattutto, vende di più: 1.4 miliardi di sterline in diritti internazionali. La questione si pone perché Bruxelles non vuole continuare a definire i programmi britannici come "opere europee": secondo le direttive, almeno il 30% dei titoli su piattaforme in streaming on demand (come Amazon Prime Video e Netflix) devono essere contenuti europei. Il Regno Unito avrebbe più del 60% di queste produzioni.

Cosa dice il documento

Stando al documento, l'inclusione di contenuti britannici hanno portato a una sproporzione di programmazione britannica sulle frequenze europee. Il Guardian cita:

L'elevata disponibilità di contenuti britannici nei servizi di video on demand, nonché i privilegi concessi dalla qualifica come opere europee, possono comportare una presenza sproporzionata di contenuti britannici con la quota europea di video on demand e ostacolare una maggiore varietà di opere europee (anche da paesi più piccoli o lingue meno parlate). Pertanto la sproporzione può incidere sul raggiungimento degli obiettivi di promozione delle opere europee e della diversità culturale previsti dalla direttiva sui servizi di media audiovisivi.

La Commissione europea ha quindi avviato uno studio sull'impatto che lo "strapotere" britannico ha sulla diversità culturale dell'Unione Europea. Questo è il primo passo per limitare i contenuti del Regno Unito come "The Crown", "Peaky Blinders", "Downton Abbey" ma anche show più agili e snelli come quello di Ricky Gervais, "After Life". La preoccupazione che trapela dal Regno Unito è ovviamente quella di perdere i benefici dalla vendita dei diritti internazionali. Non fa giri di parole, in questo senso, Adam Minns, direttore esecutivo della Commercial Broadcasters Association (COBA): “La vendita dei diritti è una parte cruciale del finanziamento della produzione in determinati generi, come il dramma. Perdere l'accesso ai mercati dell'UE sarebbe un duro colpo per tutto il settore televisivo del Regno Unito". 

L'iniziativa parte dalla Francia

Fonti del Guardian vicine all'UE hanno suggerito che la direttiva partirà quando la Francia assumerà la presidenza di turno dell'Unione a gennaio. La Francia ha già il sostegno di Italia, Austria, Grecia e Spagna. Un portavoce del governo britannico ha però fatto presente che la Gran Bretagna resta all'interno dell'European Convention on Transfrontier Television, convenzione del Consiglio d'Europa e che pertanto lo status di "opere europee" deve necessariamente continuare a essere considerato tale anche per il Regno Unito.

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