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La storia di Manzi nei giorni di Renzi

L’epica storia di Alberto Manzi con Santamaria porta in tv un tema che il nuovo premier ha messo al centro della sua azione di governo. Avrà ragione se restituirà agli insegnanti il valore sociale che gli spetta.
A cura di Andrea Parrella
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Una strana coincidenza intreccia il cadere della messa in onda della serie tv sulla vita di Alberto Manzi "Non è mai troppo tardi", il pedagogo che ha fatto la storia della tv ed ha contribuito in modo consistente all'alfabetizzazione del paese, e la due giorni di richieste di fiducia di Renzi al governo messo in piedi in pochi giorni. Sia in Senato che al Parlamento, l'ex sindaco ha esposto l'itinerario che avrebbe intenzione di seguire il suo esecutivo da ora all'auspicato 2018: punto di partenza, pilastro essenziale, il tema della scuola.

Claudio Santamaria impersona Alberto Manzi sul piccolo schermo, regalando un'interpretazione notevole, capace di raccogliere e far suo quel senso estremo del tatto, la decisa e imperturbabile tenerezza umana che caratterizzava il Manzi che la storia ci ha consegnato. E' una storia che riguarda un tempo in cui c'era poco da distruggere e tutto da ricostruire, che poi non è tanto diverso da quello che stiamo vivendo oggi. Ed è stato il tempo in cui si è assestato quel valore sociale della figura dell'insegnante al quale Renzi ha fatto insistentemente riferimento nel suo lungo discorso al Senato:

Restituire il valore sociale all'insegnante non ha bisogno di alcuna riforma, ha bisogno di un cambio di forma mentis. Non ha bisogno di denaro e commissioni di studio, c'è bisogno di rispetto nei confronti di chi ogni giorno va nelle nostre classi e si assume su di sé il compito struggente e devastante di essere collaboratore della creazione di una libertà […] E' straordinario il compito di un insegnante […] Che l'educazione sia il motore dello sviluppo.

Va detto onestamente che la fiction è commovente, di una commozione alla quale ci si sforza di trovare una spiegazione, la fonte, che in questo caso pare non essere la smodata esasperazione emotiva di ogni fiction Rai degna di questo nome, finalizzata a strappare una lacrima a tutti i costi: la vicenda di Alberto Manzi commuove perché stuzzica il nervo scoperto di un disagio che in fin dei conti non abbiamo mai realmente superato. Non è un caso che Manzi, anziché essere incensato come eroe in patria ed essere preso a modello per le teorie dell'insegnamento, sia stato più volte richiamato all'ordine dalle istituzioni scolastiche anche dopo essere divenuto un personaggio pubblico e un vero e proprio divo televisivo. La sua vicenda, i problemi cui ha fatto fronte, sono di una disarmante attualità se si guardano le condizioni in cui le nostre scuole versano. Anzi i nostri bambini hanno problemi se si vuole ancora peggiori, come sostenne lo stesso Manzi in una delle sue ultime interviste. L'ignoranza poetica descritta dalle mani rotte dei contadini anziani volenterosi, che imparavano a scrivere il loro cognome in tv con Manzi, ha ceduto oggi il passo ad una forma di ignoranza che è molto più difficile da estirpare: la presunzione di sapienza.

Che a Renzi si creda o no, che lui ci creda veramente o no, mettendo al centro della propria azione di governo un tema essenziale come l'istruzione, il nuovo premier ha la fortuna, o forse il talento, di cogliere al volo quel senso di commozione che la lettera finale letta da Manzi a tutti i suoi allievi contribuisce a generare nella serie tv. Se Renzi sarà in grado di sostenere con una discreta sincerità questo valore, di infondere un accenno di fiducia alle istituzioni scolastiche vessate, di evitare di relegare a mero specchietto per le allodole il capitolo primo del suo programma, avrà dalla sua un risultato per poter sbugiardare l'accusa di pressapochismo concettuale che in tanti, da tempo, hanno valide ragioni di contestargli.

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