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Pierfrancesco Favino e la poesia per Gigi Proietti: “Svejasse e nun trovatte, esse de colpo a lutto”

Tra i tanti artisti che hanno voluto ricordare Gigi Proietti, scomparso alle prime ore di quello che sarebbe stato il giorno del suo 80esimo compleanno, si è aggiunto anche Pierfrancesco Favino. Non un messaggio qualunque, ma un saluto in versi, romaneschi, con una poesia l’attore si rivolge all’ultimo mattatore della comicità italiana, manifestando il dolore di una perdita immensa: quella di un uomo che della risata ne ha fatto il suo mestiere, senza mai ostentarla e banalizzarla, ma elevandola ad espressione artistica di grande spessore.
A cura di Ilaria Costabile
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Quando quello che solitamente definiamo "un mito" lascia questa terra, sembra che non ci siano parole che valgano abbastanza per descrivere la sofferenza di una perdita così grande. Ed è un vuoto incolmabile nel mondo dello spettacolo quello lasciato da Gigi Proietti che, come il più beffardo dei mattatori, ha chiuso i suoi occhi per sempre in quello che sarebbe stato il giorno del suo ottantesimo compleanno. Il suo talento, la sua passione per il teatro, per una comicità cristallina, mai volgare, fatta di gesti, di risate sonore e di una grande dose di intelligenza e sarcasmo vengono disegnati in maniera commovente da uno dei grandi attori del cinema italiano: Pierfrancesco Favino. L'attore scrive una poesia in versi romaneschi, per ricordare la grandezza di un artista andato via senza preavviso, un artista che è ben saldo nell'immaginario comune, i cui sketch tanto a teatro quanto sul piccolo schermo, sono entrati di diritto nella storia dello spettacolo italiano. Un uomo che della risata aveva fatto il suo culto, senza mai banalizzarla, ma tirandone fuori l'essenza più profonda della comicità: quella di far ridere, ragionando, su ciò che nella vita sembra essere insormontabile e difficile da accettare.

La poesia di Pierfrancesco Favino

Però ‘n se fa così, tutto de botto.
Svejasse e nun trovatte, esse de colpo a lutto.
Sentì drento a la panza strignese come un nodo
Sape’ che è la mancanza e nun avecce er modo
de ditte grazie a voce pe' quello che c’hai dato
pe' quello che sei stato, perché te sei inventato
un modo che non c’era de racconta' la vita
e ce l’hai regalato così un po’ all’impunita,
facendo crede a tutti che in fondo eri normale,
si ce facevi ride de quello che fa male,
si ce tenevi appesi quando facevi tutto,
Parla’, balla’, canta’, pure si stavi zitto.
Te se guardava Gi’, te se guardava e basta
come se guarda er cielo, senza vole’ risposta.

All’angeli là sopra faje fa du risate,
ai cherubini imparaje che so’ le stornellate,

Salutece San Pietro, stavolta quello vero,
tanto gia’ ce lo sanno chi è er Cavaliere Nero. 

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