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Il Generale dalla Chiesa nel ricordo di Rita: “Ucciso per un accordo Stato-mafia, non perdono”

Il 3 settembre del 1982, la strage di via Carini. Morivano il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa e la seconda moglie Emanuela Setti Carraro. Dodici giorni più tardi, si spegneva anche l’agente della scorta Domenico Russo. Rita dalla Chiesa ha ricordato suo padre su Fanpage.it, tracciando il ritratto di un uomo sensibile, presente e amorevole, fedele alla famiglia e a quello stesso Stato che lo ha lasciato solo a combattere contro la mafia.
A cura di Daniela Seclì
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Il 3 settembre 1982, la strage di via Carini insanguinava Palermo e calpestava ancora una volta le speranze dei cittadini che sognavano un futuro libero dalla morsa della mafia. Morivano il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro. Dodici giorni più tardi si spegneva anche l'agente della scorta Domenico Russo. Per la strage furono condannati i vertici della cupola Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci e i killer Raffaele Ganci, Giuseppe Lucchese, Vincenzo Galatolo, Nino Madonia, Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci. La sentenza restituì alle famiglie delle vittime una verità parziale, ammettendo:

"Si può senz'altro convenire con chi sostiene che persistano ampie zone d'ombra, concernenti sia le modalità con le quali il generale è stato mandato in Sicilia a fronteggiare il fenomeno mafioso, sia la coesistenza di specifici interessi, all'interno delle stesse istituzioni, all'eliminazione del pericolo costituito dalla determinazione e dalla capacità del generale"

Carlo Alberto dalla Chiesa era diventato, dunque, un personaggio scomodo non solo per la mafia, ma anche per una parte della politica. Rita dalla Chiesa, figlia del prefetto di Palermo, lo ha ricordato su Fanpage.it tracciando il ritratto di un padre tenero, presente e amorevole, di un fedele e rigoroso uomo dello Stato che con fermezza ha guardato negli occhi terroristi e mafiosi, senza mai chinare il capo.

Il 3 settembre 1982, il Generale dalla Chiesa moriva nella strage di via Carini. Come lo racconterebbe alle nuove generazioni?

C'era una volta un ragazzo che nella sua vita inseguiva la giustizia, gli ideali e il suo posto nel mondo, cercando di rimanere sempre coerente con i propri principi. Ha cominciato così il suo cammino nell'Arma dei Carabinieri. È diventato tenente giovanissimo, ha fatto la guerra, è stato partigiano in Montenegro. Per tutta la vita si è battuto proprio per l'amore nei confronti dello Stato. Non si è mai tirato indietro neanche quando gli hanno detto di andare a Palermo a fare il prefetto, dopo che aveva combattuto e vinto le Brigate Rosse. Un uomo, però, che non si è mai dimenticato di essere marito e padre.

Com'era tra le mura domestiche?

Di certo non ce le faceva passare tutte. Avevamo regole e valori da cui non potevamo trasgredire. Però, era anche un papà molto tenero. Giocava con noi, ci faceva fare i compiti, cercava di insegnarmi la matematica perché io in quella materia sono una capra (ride, ndr). Poi era innamoratissimo di mia madre (Dora Fabbo, ndr). Loro si erano sposati il 29 luglio e ogni 29 del mese, le portava una rosa. Era un uomo molto sensibile. Poi era anche il Generale dalla Chiesa, ma noi non lo sapevamo. Per noi era nostro padre.

Dunque non vi rendeva partecipi dei rischi legati al suo lavoro?

No, non portava mai a casa le sue preoccupazioni, le minacce di morte. Ne parlava con mia madre, magari. Ma in separata sede, in camera da letto. Con noi assolutamente no e mia madre non si faceva sfuggire niente. Poi, crescendo anche noi abbiamo recepito dei segnali non proprio positivi dall'esterno.

Voi figli vi siete mai sentiti in pericolo?

Il terrorismo non ci ha risparmiato niente. Siamo stati minacciati, seguiti, controllati. Mio padre cercava di darci dei consigli, di proteggerci in qualche modo ma il terrorista poteva essere chiunque.

Carlo Alberto dalla Chiesa con la moglie Dora Fabbo, deceduta nel 1978, e i figli Nando, Rita e Simona
Carlo Alberto dalla Chiesa con la moglie Dora Fabbo, deceduta nel 1978, e i figli Nando, Rita e Simona

Lei e suo padre avevate avuto un piccolo diverbio qualche settimana prima dell'attentato.

Avevamo avuto una lieve discussione perché non gli avevo mandato mia figlia Giulia a Palermo. Quando me lo chiese, gli dissi subito di no. Sono quelle cose che solo una mamma può capire. Quelle cose che ti partono dalla pancia. Mio padre se l'era un po' presa. E per fortuna non gliel'ho mandata o oggi non avrei avuto neanche mia figlia. La sera dell'attentato, Emanuela l'avrebbe di certo portata a prendere il nonno in macchina in Prefettura.

A seguito di quella discussione suo padre, orgoglioso, non la chiamò nel giorno del suo compleanno. Lo fece la moglie, Emanuela.

In genere, nel giorno del mio compleanno, la prima telefonata che arrivava la mattina era quella di mio padre. Quel 31 agosto già sapevo, conoscendolo, che per via di quel diverbio non mi avrebbe chiamato. Quando è arrivata la telefonata di Emanuela, però sapevo che vicino a lei c'era papà. Emanuela mi ha detto: "Ciao Rita, come stai? Tutto bene? Guarda che ieri ti abbiamo comprato un regalo, vedrai che ti piacerà. Te lo spediamo domani". Il regalo mi è arrivato due giorni dopo che papà ed Emanuela non c'erano più. Era una camicia da notte di seta rosa bellissima, c'era il loro bigliettino dentro. Non l'ho mai messa. L'ho conservata così come è arrivata.

Proprio poche ore prima dell'attentato, il Generale dalla Chiesa le telefonò e faceste pace.

Sì, la mattina del 3 settembre 1982 mi chiamò in redazione (Rita Dalla Chiesa lavorava per la rivista Gioia, ndr), erano le 11, 11:30. Abbiamo parlato un po' e abbiamo fatto pace. Se quella telefonata non ci fosse mai stata, sarebbe rimasto il vuoto dei giorni in cui mi era mancata la sua presenza. Mi chiamava "topino". Mio padre ci ha amato tantissimo e noi abbiamo amato molto lui. La nostra è sempre stata una famiglia unita.

Suo padre, nell'ultima telefonata, le disse anche: "Rita non mi far fare brutta figura".

(Ride, ndr). Stavo facendo l'esame da giornalista professionista. Avevo già superato lo scritto. Avrei dovuto fare gli orali. Mio padre mi disse: "Ma stai studiando? Mi raccomando non farmi fare brutta figura". Con quelle ultime parole, papà senza saperlo mi aveva dato un insegnamento di vita.

Il 3 settembre del 1982, un amico giornalista la chiamò e le propose di andare a prendere un gelato. Un modo per informarla con delicatezza dell'accaduto. Cosa ricorda di quel giorno?

Era il caporedattore del TG2. Un giornalista non molla l'edizione di mezza sera del telegiornale per andare a mangiare un gelato con un'amica. Non è pensabile. Ho capito subito che c'era qualcosa che non andava. Poi mi arrivavano troppe telefonate in cui mi chiedevano: "Rita sei sola?".

Lei ebbe qualche difficoltà a raggiungere Palermo, nessuno l'aiutò?

Abito nella città dove esiste un Comando Generale dei Carabinieri e nessuno mi ha fatto una telefonata quella notte. Io che sono così legata all'Arma dei Carabinieri, per due anni non ho voluto più avere niente a che fare con il Comando Generale. Lì c'erano delle persone che detestavano mio padre. Anche agli alti livelli, purtroppo, le gelosie e le invidie esistono. C'era un comandante generale che odiava mio padre. Punto. Non c'è stato nessuno che mi abbia telefonato per dirmi: "Signora dalla Chiesa ha bisogno di qualche cosa?". Ho preso un taxi, sono arrivata in aeroporto a Fiumicino. Tutti parlavano della morte di mio padre. Sentivo i loro commenti ovattati. Purtroppo non c'erano più posti. Non volevo dire chi fossi perché non volevo impietosire nessuno, ma alla fine ho dovuto farlo e ho trovato un biglietto. La dignità del dolore è una cosa che forse ho imparato quel giorno. Quando sono arrivata in Prefettura a Palermo, davanti alle bare di papà ed Emanuela ho detto a mio fratello: "Nando, guai se piangiamo. Non ci facciamo vedere piangere da nessuno". Non volevo dare soddisfazione.

Carlo Alberto dalla Chiesa ed Emanuela Setti Carraro
Carlo Alberto dalla Chiesa ed Emanuela Setti Carraro

È rimasta nell'immaginario comune l'omelia pronunciata dal Cardinale Pappalardo durante i funerali. Citò la frase di Sallustio: "Mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata".

Certo, in quel momento in chiesa tutti capirono che mio padre era stato lasciato solo. Nessuno gli aveva dato una mano per debellare la mafia. La grande vergogna dell'Italia, di una certa Italia, è aver lasciato solo il Generale dalla Chiesa in quel momento.

Il Generale dalla Chiesa, infatti, aveva chiesto allo Stato i mezzi per contrastare la mafia.

Mio padre aveva chiesto di potersi muovere esattamente come si era mosso con il terrorismo e avere a disposizione un nucleo di persone di assoluta fiducia. I mezzi promessi non arrivarono mai. Aveva chiamato molti politici proprio per sapere che intenzioni avessero: Rognoni, Spadolini, De Mita. De Mita era a 15 chilometri da noi. Era a Nusco, noi eravamo a Prata, nella casa dei miei nonni materni. Non si è mai fatto trovare al telefono. E io non glielo perdonerò mai. Non perdono niente a nessuno di quel periodo.

Ricorda le proteste che accompagnarono il giorno del funerale?

Sì, ci fu una ribellione violentissima quando i rappresentanti delle istituzioni apparvero sul sagrato della chiesa. Vidi lanci di bottiglie, di lattine, di monetine, urla. Era il popolo che era venuto fuori dai vicoli per dire: "Vergognatevi, andatevene". Dopo la morte i politici erano tutti lì. Ricordo che Craxi era venuto da Hammamet e come per prendere le distanze da questi loschi figuri, come li chiamo io, decise di sedersi dalla parte della famiglia. Aveva capito tutto.

Nonostante siano passati tanti anni, ci sono ancora ombre sulla morte di suo padre.

Mancava Andreotti al funerale di mio padre. C'erano tutti ma lui mancava. Disse che preferiva andare ai battesimi che a un funerale. Basta, in questo nome c'è tutto per me.

C'è anche chi sostiene che la morte del generale sia legata ad alcune rivelazioni contenute in un memoriale di Aldo Moro di cui lui sarebbe stato a conoscenza.

No, lì hanno voluto depistare in qualche modo un omicidio, quello di mio padre, che è legato esclusivamente alla politica e ai rapporti di un certo tipo di politica. Io sono assolutamente convinta che mio padre sia stato ucciso per un accordo preciso tra la mafia e lo Stato. L'ho sempre detto. Non è stato un omicidio di sola mafia. Mio padre ha cambiato idea all'ultimo momento sul percorso che stava facendo. Un cambio improvviso, troppo repentino per essere stato recepito da fuori…la mano è stata mafiosa, la mente però stava a Roma.

Si è rifiutata di scendere in politica, la sua decisione è in qualche modo legata a suo padre?

Ognuno ha pensato di prendere mio padre come esempio della propria lotta politica. Noi lo abbiamo impedito. Non volevamo bandiere politiche quando si scendeva in piazza per mio padre. Carlo Alberto dalla Chiesa era italiano. Per questo non ho accettato nessun tipo di richiesta politica di scendere in campo. Il cognome deve rimanere pulito. Poi, ognuno, può pensarla come vuole però mio padre appartiene all'Italia. E se lo mettano bene in testa tutti.

Il 3 settembre parteciperà alla commemorazione di Carlo Alberto dalla Chiesa che si terrà a Palermo?

Quest'anno ho deciso di non andare a Palermo. Ho capito che le persone che vengono uccise o sacrificate in nome dello Stato, dovrebbero essere ricordate sempre e non si può ridurre tutto a una corona appoggiata lì in via Carini, due saluti, due strette di mano magari di mani che non vorresti mai stringere e poi arrivederci e grazie e tutto ricomincia come prima. Ci ho messo un po' di tempo, ma ho capito tutto. Magari andrò a via Carini la stessa sera o la mattina dopo, quando non ci sarà più nessuno.

Canale5 riproporrà la fiction Il generale dalla Chiesa. Crede che Giancarlo Giannini sia riuscito a catturare l'essenza di suo padre?

Giancarlo Giannini è un grande. Io ricordo che all'epoca ebbi da ridire con la regia di Giorgio Capitani: ricordava molto il Maresciallo Rocca e poco il Generale dalla Chiesa. Il fatto che Mediaset abbia voluto fare un ricordo, merita gratitudine. L'approccio, però, è un po' troppo romanzato. Poco reale. Ricordo che gli sceneggiatori vennero a casa mia, ci fecero leggere la sceneggiatura. Era fatta veramente bene. Uno di loro mi disse: "Adesso dipende tutto dalla scelta del regista".

Anche suo fratello Nando è apparso perplesso. Ha dichiarato che vostra madre Dora non era "lamentosa" come viene ritratta nella fiction.

Ma per carità. Grazie a Dio abbiamo avuto una madre completamente diversa. Per questo dico che non la rivedo con piacere, però apprezzo lo sforzo di un'azienda che vuole ricordare nostro padre. Guardi, la sera che la vedemmo in anteprima, mia nipote – figlia di mio fratello – mi guardò e disse davanti al regista: "Ma nonno dov'è?". Io andai in camera da letto, mi feci un bel pianto liberatorio, poi agguerrita come una tigre dissi: "No, ci sono scene da tagliare". Ma s'immagini se mio padre si metteva a baciare sotto l'acqua Emanuela, all'uscita del teatro. Ma quando mai? Era il Generale dalla Chiesa, ma stiamo scherzando? Loro lo volevano rendere umano, ma mio padre era umano fra le mura di casa. Non lo so, io sono stata molto scettica.

Secondo lei, oggi c'è un erede di suo padre?

È una domanda difficile, non so risponderle. Se me l'avesse fatta prima del '92, le avrei risposto Falcone. Oggi vedo che ci sono molte persone che combattono la mafia con metodi diversi. Sono cambiate troppe cose.

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