Il Collegio 5, prof. Andrea Maggi: “Vi spiego perché i ragazzi non possono recitare”
La quinta edizione de Il Collegio è iniziata, confermando il successo assoluto di un prodotto televisivo che è sempre più un fenomeno generazionale. Tra le colonne del programma c'è Andrea Maggi, professore di italiano ed educazione civica quest'anno, professore anche nella vita, che si racconta in un'intervista a Fanpage.it. Il suo proverbiale rigore è diventato un marchio di fabbrica del docureality in onda al martedì su Rai2 e se in questo momento storico parlare con un insegnante permette di capire qualcosa in più di quello che sta accadendo a un settore, quello della scuola, messo in ginocchio dalla pandemia, discutere con Maggi ci consente una panoramica più chiara sui meccanismi di un programma che vuole parlare agli studenti di oggi e ai loro genitori.
Professore, lei che è al Collegio dalla prima stagione è riuscito a capire le componenti di questa formula vincente?
Io ritengo questo programma meraviglioso da sempre e mi inorgoglisce esserci dall'inizio. Penso che il segreto del successo stia nella capacità ci parlare ai giovani, attraverso i giovani, usando soprattutto il loro linguaggio. Si tratta di un programma Tv più seguito da parte dei ragazzi, che oggi hanno una totale disattenzione per la televisione. Il Collegio riesce ad andare in controtendenza.
Il Covid ha complicato molto la realizzazione del programma?
C'è stata un'attenzione scrupolosissima e abbiamo dovuto seguire un protocollo di comportamenti molto severo. Siamo stati sottoposti tutti a controlli periodici per garantire la salute di tutti. C'è stato grande impegno per l'ambientazione, quella del 1992, che secondo me è stata una scelta vincente anche in una chiave relativa alla pandemia.
In che modo1992 e coronavirus possono convivere?
Il 1992 è un anno importante perché apre l'Europa al multiculturalismo, alle voglie di alcuni studenti di allora di uscire dal proprio paese, andare a scoprirne altri, si è trattato di un anno di grandi aperture. Per contro noi venivamo da un anno di chiusura totale, in tutti i sensi, e questa contraddizione tra l'ambientazione del 1992 e il tempo che stiamo vivendo si è rivelata molto efficace.
Tra le cinque edizione a quale è più legato e quale l'ha esaltata meno?
L'edizione più stimolante è stata chiaramente la prima, essendo tutto nuovo. Ma devo dire che anche quest'ultima è stata esaltante e motivante, di fatto una sfida. Realizzare questo reality nelle condizioni in cui eravamo era praticamente impossibile e secondo molti non ce l'avremmo fatta ad arrivare alla fine. Forse la meno esaltante è stata la seconda, perché l'ambientazione non si discostava molto dalla prima e c'erano meno novità.
Da professore pensa che il lockdown abbia cambiato i ragazzi?
Sicuramente gli alunni di questa edizione erano delle bombe a orologeria pronte ad esplodere, perché la vitalità compressa da questo periodo di restrizioni è stata sfogata tutta nel programma, dove potevano vivere in comunità, senza mascherine, trasmettendosi le loro sensazioni e la loro voglia di vivere. Danno tantissimo al programma, perché si scatenano in tutta la loro giovinezza.
Come si trattasse di una realtà parallela doppia, liberi dal Covid e in un'altra era.
In questo senso ha giovato senza dubbio la condizione di "cattività" che li ha obbligati a stare senza cellulari e computer, dispositivi che hanno assorbito completamente la loro attenzione proprio durante il lockdown. Da qui penso nasca la prima, vera novità di questa edizione del Collegio.
Ovvero?
Per la prima volta nessuno di loro ha desiderato lasciare il Collegio in anticipo. Penso che la cosa sia anche figlia della situazione attuale.
Nella preparazione di una lezione voi docenti siete totalmente autonomi, o c'è un lavoro di confronto con gli autori del programma?
Devo dire che sin dal primo anno io ho avuto dagli autori grande fiducia e le mie proposte sono sempre state approvate e supportate, non hanno mai imposto nulla. Gli autori seguono prevalentemente i comportamenti dei ragazzi, in relazione alle lezioni lasciano che le cose accadano. La loro grande abilità sta proprio nell'individuazione di storie che poi bisogna saper sviluppare in una fase di post produzione e montaggio.
La domanda delle domande sul programma è se i ragazzi del Collegio recitino una parte. Lei che ne pensa?
Diciamo che è inevitabile che i ragazzi delle edizioni successive alla prima abbiano studiato il programma prima di entrarci. Chi arriva al Collegio adesso si è per forza di cose creato una sua narrazione nella testa. Il bello del programma, però, è che i ragazzi entrano in contatto con persone con cui non hanno mai avuto a che fare, di conseguenza i loro piani vengono stravolti e secondo me parte del segreto del programma è proprio questa capacità di generare continui imprevisti. Per cui no, non credo che i ragazzi possano recitare una parte.
In sostanza mi sta dicendo che succede quello che si verifica al primo giorno di scuola, magari in una versione amplificata.
Assolutamente sì, qualsiasi intenzione viene stravolta dalle dinamiche di gruppo. Io stesso, da insegnante, preparo delle lezioni, ma nel momento in cui iniziamo tutto ciò che si è programmato si realizza al 2%. Per quanto mi riguarda sono abituato a questa cosa, che accade anche a scuola. La classe ideale non esiste, bisogna essere bravi ad adattare alla situazione contingente ciò che hai preparato.
Secondo lei Il Collegio è un programma che ha valore didattico e culturale, o è puro intrattenimento?
Per quanto il suo scopo principale sia l'intrattenimento, io credo il programma abbia una funzione educativa importante. Se è vero infatti che è dedicato molto poco spazio al racconto delle lezioni – ci tengo a dire che noi insegnanti facciamo lezioni vere e seguiamo un reale programma scolastico prestabilito – io credo che il programma generi discussione e riflessione. Allo spettatore gli argomenti scuola/didattica/educazione arrivano e ne derivano ragionamenti non solo da parte del pubblico giovane, ma anche e soprattutto quello degli adulti, in particolare i genitori che si immedesimano.
Lei insegna anche nella vita reale, qualche giorno fa su Instagram faceva un ragionamento sul tema della didattica a distanza, quanto mai centrale in questo momento. Cosa ne pensa?
Il tema è di grande complessità, ma in sintesi farei una differenza tra didattica digitale e didattica a distanza. Ritengo la prima una risorsa straordinaria e personalmente usavo questo strumento già da prima del lockdown – lo faccio tutt'ora – per studenti ospedalizzati. Lo strumento consente di raggiungere studenti ai quali, altrimenti, dovremmo negare l'insegnamento. Per quanto riguarda la didattica a distanza, penso invece che debba rimanere una didattica integrata e al massimo di emergenza.
Deduco che secondo lei non possa affatto sostituire la didattica in presenza?
Non può assolutamente sostituire la didattica in presenza, lo abbiamo visto e lo abbiamo sperimentato: non è una didattica inclusiva perché taglia fuori enormi fette di popolazione scolastica. Mi riferisco a studenti con disabilità, patologie particolari e difficoltà nell'apprendimento, che hanno bisogno della presenza dell'insegnante. Una didattica a distanza totale rischia di escludere e accrescere l'abbandono scolastico. In un'emergenza come questa è preziosissima, ma non dobbiamo abusarne, perché la cosa importante della scuola, e mi riferisco soprattutto alla scuola dell'obbligo, è il rapporto umano.
Quale fascia anagrafica è più penalizzata dalla didattica a distanza?
Per come stanno le cose adesso, la didattica a distanza offre una modalità di insegnamento molto ludica e per me questo penalizza in particolare alcuni istituti. Mi chiedo, ad esempio, fino a dove possa supplire all'insegnamento in presenza negli istituti tecnici, così come all'insegnamento di materie come il latino, che richiedono una presenza necessaria. Alcuni studi superiori al momento sono impossibili a distanza.
Parliamo di Andrea Maggi. Lei al momento è in una comfort zone televisiva, porta sul piccolo schermo una versione vintage di ciò che è nella vita. Si è immaginato di fare altro in? Magari un ruolo da divulgatore in stile maestro Manzi.
Fare divulgazione mi piacerebbe certamente. Devo ammettere che prima del Collegio non ci avevo mai pensato, però adesso che ci sono dentro mi rendo conto che mi piace, anche perché sono una persona che ama sperimentare. La Tv continua ad essere uno strumento straordinario in questo senso.
Il Collegio lascia immaginare possibili spin off che vi diano più spazio per l'insegnamento puro.
Il programma ha delle potenzialità infinite, speriamo che la Rai le sfrutti e non le disperda.
Nei giorni scorsi, sempre sui social, lamentava errori riportati nella sua pagina Wikipedia. Ci dice quali sono?
C'erano degli errori sulla mia data di nascita, sono nato in gennaio e sono del segno dell'acquario e non in settembre, vergine come era riportato. Poi c'erano errori madornali sui miei libri, io ne ho pubblicati 6 in tutto, ma altri di quelli citati sono opere di miei omonimi cui auguro ugualmente molto successo, ma non sono miei.