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I guai di Gordon Ramsay: insegna a gestire ristoranti ma i suoi chiudono

Lo chef stellato più noto al mondo è sommerso da richieste di risarcimento milionarie legate alla chiusura del suo ristorante a Los Angeles “The Fat Cow”, arrivate dal proprietario delle mura così come dal suo socio in affari. Eppure, in “Hell’s Kitchen” i ristoranti insegnava a tenerli aperti, non a farli chiudere.
A cura di A. P.
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Per anni lo abbiamo visto alle prese con ristoranti e locali in profonda crisi di clientela, personale e credibilità, capace di salvare situazioni apparentemente disperate grazie alla sua personalità e aggressività, divenuta proverbiale. Negare che Gordon Ramsay sia un modello sintetico della tv internazionale degli ultimi dieci anni vorrebbe dire girare il volto dall'altra parte rispetto a dove stia la realtà. Ma è pur vera un'altra cosa e cioè che se da una parte gli affari dello chef in tutto il mondo sono cresciuti volumetricamente in maniera esponenziale negli ultimi anni, di pari passo alla sua popolarità, allo stesso tempo lo chef più famoso al mondo sta vedendo vacillare la sua autorevolezza negli ultimi mesi, grazie ai disagi che gli sta provocando la spinosa vicenda del ristorante The Fat Cow di Los Angeles, che Ramsay aveva aperto al 50% con un socio e che ha chiuso a marzo scorso, con strascichi di problematiche che rischiano di compromettere seriamente il suo patrimonio.

Ma andiamo per gradi: a marzo del 2014 il ristorante che Ramsay aveva aperto insieme a Rowen Seibel, chiude dopo una lunga battaglia basata sul reclamo da parte di un locale in Florida, che avanzava la proprietà del marchio The Fat Cow come nome per un ristorante. Ma evidentemente la cosa non poteva fermarsi qui. Nei mesi successivi infatti, Ramsay, evidentemente il personaggio più in vista della questione e quello sul quale poter fare leva mediatica, viene denunciato da parte del proprietario delle mura del locale, che denuncia mancati pagamenti dell'affitto, in relazione ad un contratto il cui termine era fissato in una data posteriore alla chiusura del marzo 2014. Il risarcimento chiesto allo chef-divo è la cifra astronomica di 6 milioni di dollari.

Ma qui si apre un'altra questione, ovvero che, secondo quanto affermato dai portavoce dello chef e ribattuto dal giornale Tmz, al momento della stipula del patto con Seibel, Ramsay aveva concordato una completa suddivisione di oneri ed onori, dunque anche in caso di problemi legali, le competenze sarebbero state ripartite in maniera eguale. Allo stesso tempo però, in barba alla questione, è stato lo stesso Seibel a chiedere danni per 10 milioni a Ramsay, a causa della sua scelta errata sul nome del ristorante. Lo chef stellato, a sua volta, ha ribadito dicendo che la reale radice del problema sia che il suo socio è un principiante dal punto di vista finanziario.

Qualche mese fa, dopo l'addio di Ramsay al programma che l'ha reso famoso in tutto il mondo, una piccola analisi dimostrò come i ristoranti "salvati" dalla sua opera, per il 60% erano falliti. Vista la sua vicenda personale viene spontanea una battuta in calce, forse pretestuosa, ma più che altro ironica: ma Ramsay non insegnava ai membri di uno staff a stare uniti per il bene del progetto? Come ha fatto a trovarsi in una situazione del genere che, se andasse male, rischierebbe di compromettere seriamente il suo patrimonio?

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