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“Gli anni spezzati”, ovvero come spiegare (quasi) nulla di quegli anni

Se uno avesse guardato la fiction su Calabresi da ignorante, cercando i nomi subito dopo su Wikipedia, sarebbe riuscito a farsi un’idea? Forse no, non è un cattivo prodotto, semplicemente manca di un punto di vista.
A cura di Andrea Parrella
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Gli anni di piombo restano, per il cinema, la televisione e la letteratura, i tempi più complessi per un racconto della storia d'Italia recente, forse perché troppe sono le cose da dire. Non è un caso che le ambientazioni torbide, cupe, quei colori spenti, abbiano riscosso sul piccolo e sul grande schermo un responso emozionale meno forte rispetto ai racconti di mafia, quelli della guerra o degli anni '60, dove buoni e cattivi erano ben distinguibili. Come se i '70 fossero una parentesi tra due scoppi durante i quali c'è stata una mancanza di ispirazione. "Gli anni spezzati" è una fiction divisa in tre segmenti di due puntate ciascuno, per la regia di Graziano Diana, che si propone l'obiettivo di oltrepassare la siepe, andare oltre la coltre di nebbia.

I primi due episodi intitolati "Il Commissario" sono incentrati sulla vicenda Calabresi, che degli anni di piombo è cartina tornasole, e seguono un itinerario a tappe che parte dall'uccisione di Annarumma, passa per piazza Fontana e la morte di Pinelli e approda all'uccisione del commissario, avvenuta nel 1972. Anzitutto si può dire che non ci si può permettere il lusso di essere deboli di stomaco quando ci si interfaccia con una fiction Rai. Pure questa presenta alcune brutture molto penalizzanti dal punto di vista tecnico (doppiaggi improbabili, ritmi da cinema neorealista) e del racconto (altrettanto improbabili citazioni di David Bowie, Calabresi romano interpretato da un pugliese Emilio Solfrizzi, bravo ma pugliese, Pinelli milanese interpretato dal romano Paolo Calabresi, bravo ma romano). Ma un'operazione coraggiosa va sostenuta dal coraggio speculare dello spettatore.

Regista e produttori mantengono una promessa, come hanno spiegato in un'intervista: "Raccontare gli anni '70, il periodo del terrorismo, con uno sguardo che renda giustizia a persone che hanno mantenuto la loro fede nelle istituzioni repubblicane e contribuito a preservarle […] lasciate sole di fronte alle pallottole". Tengono fede alla promessa rappresentando Calabresi e Pinelli aldilà dell'antitesi personale, mostrando la cordialità nei loro incontri, dipingendoli entrambi come dei giusti, lambendo il limite del vizio della fiction italiana all'agiografia, la descrizione dei protagonisti come dei santi, senza caderci dentro a piè pari. Nell'opera c'è la volontà iniziale di rappresentare quei valori di convivenza civile, del superamento di un odio aprioristico.

Eppure la fiction non riesce ad evitare l'altro rischio, quello del piattume. Più che equa, specie nella seconda parte del primo episodio sembra preferire dire tutto perché non si dica niente, attualizzazione di un leit motiv gattopardesco. L'esigenza principale del medio telespettatore che vedrà questo prodotto dovrebbe essere capire, avere un punto di vista che dia modo di trovare il bandolo di una matassa ancora imbrogliata, un periodo storico che la vastità dell'argomento inibisce dall'esplorare. Servirebbe un punto di vista, una presa di posizione, la possibilità di esprimerla. Qualcosa che dia modo a me che guardo, di capire quale nesso ci sia tra il trovare su Wikipedia il nome di Adriano Sofri tra i mandanti dell'omicidio Calabresi e trovarmi lo stesso come firma di punta del gruppo editoriale L'Espresso. Un punto di vista che mi faccia comprendere per quale motivo Luigi Calabresi e Giuseppe Pinelli continuino ad essere, volenti o nolenti, alimentatori di un'antitesi culturale e politica, nonostante la giustizia abbia stabilito il suo verdetto.

In buona sostanza mi chiedo: se uno avesse guardato questa fiction con un presupposto post ideologico, o molto più banalmente da ignorante, che della vicenda avesse saputo solo di una bomba e delle morti di un anarchico e di un commissario, si sarebbe riuscito a fare un'idea dopo la visione di ieri? Io dico di no. Forse per pressapochismo, forse a scopo divulgativo (ma nella divulgazione il parere non è condannabile), forse perché conveniva di più realizzare un prodotto in cui nessuno fosse troppo cattivo e nessuno troppo buono, per non urtare delle sensibilità. Tutto questo nella speranza che la serie sappia regalare delle sorprese (ecco cosa accadrà nella seconda puntata).

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