Francesco Paolantoni: “Invasi il Grande Fratello con una gru, quando la Tv era un gioco”
Quando si legge il nome di Francesco Paolantoni è naturale, per molti, essere bombardati da una serie di ricordi, non solo televisivi ma soprattutto televisivi. Quello che disputava con Giobbe Covatta in una finta tribuna politica in cui si discetta dei difetti dei napoletani ai tempi di Odeon Tv. Quello di Mai Dire Gol con un giubbotto bianco e rosso, le cuffie da concorrente sopra la testa e la faccia inebetita che chiedeva se avesse vinto quacche cosa. E ancora quello vestito da Cupido a Indietro Tutta con Renzo Arbore e Nino Frassica. Insomma, Paolantoni è una galleria di facce, maschere, ognuna delle quali sembra portarsi appresso un pezzo dell'uomo nascosto dietro all'attore. Succede pure a Stasera tutto è possibile, dove il suo modo di fare intrattenimento ha trovato albergo e famiglia, con il risultato di un successo notevole che prova a raccontare in questa intervista.
Al di là dei numeri freddi degli ascolti, l'impressione è che Stasera Tutto è Possibile trasmetta un'autenticità che c'è dietro al format.
È una sensazione corretta. Il bello di questo programma è che permette a noi di divertirci. Le persone da casa vedono chiaramente che si tratta di cose improvvisate e questo crea un'empatia con il pubblico che va oltre la risata. C'è una componente di affezione. È un po' il salotto di casa.
In un momento in cui non ci sono molte produzioni, voi rappresentate in un certo senso i salvatori della Rai di Napoli.
Se vogliamo sì e ne siamo contenti. Questa è una struttura che andrebbe rivalutata, alla Rai di Napoli si lavora come non si lavora da nessun'altra parte. C'è una disponibilità e una attenzione, una propensione alla risoluzione del problema che non ritrovi altrove. C'è una volontà di tipo artigianale, un posto in cui c'è un'energia del tutto particolare, positiva.
Fare il programma senza pubblico è una difficoltà maggiore oppure, col senno di poi, scarica un po' di responsabilità?
No, è sicuramente una mancanza. Ricevere la risata immediata del pubblico, per uno che fa questo mestiere, è sempre meglio. Noi gli anni scorsi, durante i nostri numeri, sentivamo la gente che rideva e quella è una carica in più. Inoltre c'è il problema delle distanze tra di noi che aggiunge tutta una serie di difficoltà alle quali pare che siamo riusciti a trovare rimedio. È vero che l'impedimento per le situazioni comiche rappresenta una possibilità, ma in questo caso molti giochi sono stati stravolti e abbiamo cercato di trovare altre strade per dare vita a un prodotto dignitoso.
Tu e Biagio Izzo siete udiventati i padri putativi di De Martino.
È anche un po' vero se guardiamo all'età. Diciamo che si è creato una sorta di trio, la gente ci vede così ed è vero perché ci supportiamo l'un l'altro.
La cosa è nata spontaneamente o lui ve lo ha chiesto?
Per l'età che ha, lui è un 30enne, vede ovviamente in noi un'esperienza che non ha. Non ce lo ha chiesto, diciamo che è una cosa nata in modo assolutamente naturale.
Hai preso parte ai laboratori comici più illustri della Tv italiana. Programmi così non esistono più perché non sappiamo più ridere?
Io penso che quel tipo di televisione non si faccia più da anni. Quel genere di programma, con un contesto che non fosse la passerella dei comici che si avvicendano l'un l'altro, semplicemente non c'è più. Si è perso il gusto di vedere un varietà con un contenuto, un'idea, un pretesto per fare in modo che i comici siano liberi di giocare con personaggi e situazioni. Inoltre c'è frammentazione della Tv, proliferazione di internet e soprattutto i comici di oggi, purtroppo, non vengono da esperienza passate: nascono per lo più davanti a una telecamera con una battuta. Questo fa venire meno l'esperienza attoriale che rende tutto più effimero, veloce, si perde subito.
La tua scuola televisiva è quella dell'improvvisazione.
Non è che rifiuti le cose scritte, le ho fatte anche io, ma quando è capitato è stato sempre in un contesto che permettesse all'improvvisazione di emergere. Paradossalmente Stasera Tutto è Possibile è tra i pochi che ti permette di adottare questa logica. Si tratterà anche di giochi sciocchi, da villaggio turistico, ma non è il gioco in sé ad avere valore, bensì come lo rendi.
Oggi ci provano tutti, ma nel 2000 tu sei stato il primo a provare un'invasione nella casa del Grande Fratello.
Sì, erano i tempi di Quelli che il calcio, da una gru provavo ad attirare l'attenzione dei concorrenti della prima edizione, gli gridavo di uscire perché la vita è bella.
L'impressione di quella Tv "artigianale" è che chi la faceva si divertisse molto.
Adesso le trasmissioni sono fatte di numeretti scritti e battute ripetitive. Noi vivevamo robe situazionali. Quando facevo l'inviato da Fazio a Quelli che il calcio mi dicevano solo dove dovevo andare e che personaggio interpretare. Il resto era conseguenza e questo rendeva tutto più divertente.
Arbore, Dandini e Guzzanti, Gialappa's Band, viene piuttosto automatico pensare che in quegli ambiti si ridesse ancor prima di andare in onda.
Devo dire di sì, mi pregio di aver partecipato alla televisione più bella degli ultimi vent'anni. Era una televisione che ancora aveva il potere di fare tendenza, oggi l'impressione è che passi tutto e subito e nessuno si ricorda niente.
Il comico più brillante con cui hai avuto modo di lavorare?
Non so perché ma io quando lavoro con le persone riesco sempre a stabilire un'empatia forte. Da Sarcinelli a Covatte e Iacchetti, poi con Salemme, Maurizio Casagrande e ora Biagio Izzo. Forse sono stato fortunato ad incontrare sempre persone con la mia stessa sensibilità artistica.
L'impressione che tu a un certo punto abbia preso le distanze dalla Tv dipende proprio dal credere che non ci siano più grandi idee dietro la televisione?
Non c'era niente che mi sarebbe piaciuto fare. Non mi divertiva né vedere le cose, né di provare a farle, una voglia che ho ritrovato oggi con questo programma. Ho fatto Tale e Quale Show perché mi piaceva l'idea di misurarmi con una cosa che non ho mai fatto, entrare in un personaggio altro che non fosse inventato da me e mi sono divertito. Ma non sono mai impazzito per altre cose e di conseguenza non ho nemmeno mai sofferto per la distanza. Mi sono allontanato io dalla televisione e, di conseguenza, la televisione da me. Perché poi le cose vanno sempre così.
Deduco sia stata una tua decisione perché le tue caratteristiche comiche ti permettono di adattarti a qualsiasi contesto.
L'idea di partecipare a quello che vedevo non mi divertiva e io questo mestiere lo devo fare divertendomi, non ho l'ansia di fare a tutti i costi, mi sta bene anche stare a casa a non fare nulla e vedere le serie Tv.
Ora invece con il trio Paolantoni-De Martino-Izzo state immaginando nuovi progetti?
Stiamo pensando di continuare su questa strada perché ci stiamo divertendo e abbiamo la benevolenza delle persone che è una cosa meravigliosa. Quando è così le cose si fanno con un altro stato d'animo, non è più lavoro. O meglio lo è, perché va fatto seriamente, ma noi non siamo medici, bensì buffoni, dobbiamo divertirci.
Sei attore di teatro e la condizione attuale porta inevitabilmente a chiederti come la stai vivendo. Secondo te puoi esistere un teatro fuori dalla sua dimensione dal vivo?
Ma no, quella è un'altra cosa che non c'entra nulla. Può esistere il teatro televisivo, che però non è a teatro. Non c'è scampo. Il teatro andrebbe fatto sempre e comunque ed è bello che le persone possano vederlo anche attraverso altri strumenti a scopo didascalico, però resta tutt'altra cosa. Il teatro va fatto al teatro e al momento penso tutto il male possibile perché credo il teatro si potesse fare in maniera sicura, ma il problema è che del teatro e dei suoi lavoratori nessuno se ne frega. Questo è un grande errore culturale e sociale.
Da parte di chi vive di teatro come te c'è la paura che questo tempo di sospensione possa rendere obsoleto il gesto stesso di andarci a teatro?
Al contrario credo che la gente stia attendendo un ritorno del teatro, che resta una cosa bellissima, che fa sempre piacere. Devo dire che negli ultimi anni il settore pareva moribondo, ma forse questo tempo di sospensione favorirà una rinascita.
E poi c'è stato il cinema.
Col cinema mi sono divertito, ma devo dire che è durato poco e la cosa mi dispiace. Lo avrei frequentato di più, dopo Martone, Virzì, Comencini, era una cosa che mi piaceva fare e che, devo dire, mi riusciva bene. A differenza della Tv, in cui non vedevo nulla che potesse piacermi, il cinema qualche sollecitazione me la dava.
Hai fatto Un posto al sole, che ormai è un'istituzione televisiva.
È stato un altro divertimento, quello che ho fatto è un personaggio simpatico che mi permette di avere a che fare con Patrizio Rispo, amico da decenni. Fa parte del mestiere dell'attore fare queste cose e l'ho fatto molto volentieri perché lo considero un prodotto di grande dignità. Ogni volta che me lo chiedono ci torno sempre con piacere.
Essere napoletano ha mai rappresentato un limite?
Assolutamente no, essere napoletano è un valore aggiunto. Il segreto è non pensare in napoletano per i napoletani, lo spirito napoletano è fondamentale quando capisci che puoi intenderlo in una maniera più larga, universale.