Francesca Fialdini: “I disturbi alimentari sono dei lenti suicidi, accettiamo di farci aiutare”
Francesca Fialdini è tra i volti femminili più presenti nella Rai negli ultimi anni. Dall'intrattenimento domenicale alla scoperta delle bellezze del nostro territorio, in questa nuova stagione la conduttrice torna a raccontare storie di persone che lottano con i disturbi dell'alimentazione con un nuovo ciclo di Fame d'amore, in onda su Rai3 da lunedì 26 ottobre, in seconda serata dalle 23,15. Temi complessi in cui Fialdini ci ha raccontato di essersi immersa totalmente nel corso degli ultimi mesi, come spiega in questa intervista che finisce per ripercorrere anche i momenti principali della sua carriera e parlare di ambizioni per il futuro.
Torni con un programma che, nell'analizzare e raccontare bulimia, anoressia e disturbi dell'alimentazione, ha provato ad andare oltre la semplice chiave del problema estetico.
Da un punto di vista della comunicazione i disturbi dell'alimentazione vengono raccontati in base all'estetica e a cosa significhi avere un corpo ridotto all'osso o dilatato. D'altronde è la cosa che balza all'occhio di più ed è comunicabile con maggiore facilità. Però sotto il profilo scientifico e delle motivazioni che ti portano a sviluppare queste patologie, le ferite sono invisibili. Per poterle raccontare bisognava fare un programma che desse a tutti la possibilità di andare più nel profondo. Il nostro tentativo era quello di riuscire a far entrare lo spettatore nelle dinamiche mentali delle persone che hanno questi problemi, quand'è che si scatena la battaglia tra come si percepiscono e la realtà.
Pur trattandosi di problemi complessi, qual è per te la principale ragione che spinge a questi comportamenti?
Quando veniamo rifiutati da un amore, quando qualcuno cui noi guardiamo come punto di riferimento ci fa del male, succede che le ferite d'amore possano portare a queste patologie, che sono una forma di suicidio assistito molto lenta. Se una persona ti dice che voleva essere invisibile, che voleva volare via come una piuma, sta traducendo in un'immagine il dolore fortissimo che prova per non essersi sentita amata.
Ho letto che nel nuovo ciclo tornerai a trovare ragazzi che avevi incontrato nella prima edizione. Come è andata? Credi che raccontarsi gli abbia fatto bene?
Intanto rivederli è stata una gioia, considerando anche la pausa forzata del lockdown. Abbiamo un legame forte che continua nel quotidiano e ho provato a capire come fosse proseguita la loro battaglia. Nei casi di anoressici o obesi, la guarigione si vede solo sul lungo periodo, non sugli effetti sul corpo, che sono i primi ad arrivare. Io volevo vedere se ci fosse una maggiore consapevolezza e l'ho trovata nella maggior parte dei casi, ma ci sono alcuni tra loro che continuano a lottare e chi, a causa del Covid, è anche peggiorato.
Da narratrice esterna, fino a che punto ti sei spinta per capire come ti comporteresti se uno di questi problemi dovesse riguardarti, direttamente o indirettamente, in modo personale?
D'altronde è la curiosità di tanti genitori che faticano a capire, o di tanti ragazzi che non hanno il coraggio di parlarne coi propri genitori. Io chiederei aiuto a uno psicoterapeuta, che possa aiutarmi a favorire un approccio nuovo con il cibo, perché il primo obiettivo di un genitore è quello di non vedere un figlio stare male, per il troppo poco o il troppo cibo. Mi chiederei se ho sbagliato qualcosa, cercherei di capire dove risieda l'origine della sofferenza di mio figlio o mia figlia. Proverei a salvarlo dalle proprie paure, buttare giù una corda in quel pozzo dove si trova e vede tutto buio. Tenterei di colmare la distanza tra il suo bisogno di sentirsi amato/a e le persone.
In Italia continua a persistere un problema culturale con l'idea di farsi aiutare per problemi psicologici?
Assolutamente sì e credo sia un grande errore. Farsi aiutare da un punto di vista psicologico dovrebbe essere una cosa normale, come andare dal pediatra da bambini, ogni tanto fare un controllo. A volte nemmeno ci rendiamo conto dei vuoti che si creano dentro di noi e che fanno male anche al nostro corpo. Parlare di malattie che hanno a che fare con la mente rappresenta ancora, in parte, un motivo di vergogna, invece dovrebbe essere raccontato nelle scuole come un percorso normale. C'è da dire che non tutti possono permettersi una psicoterapeuta e infatti credo sarebbe molto meglio se la cosa fosse inclusa in un pacchetto della sanità pubblica. Fare prevenzione su queste tematiche come lo si fa con altre patologie.
Il tema del rapporto con il proprio corpo è di enorme attualità, lo dimostra il dibattito sulla recente copertina di Vanessa Incontrada. Cosa ne pensi di questo?
Non solo Vanessa Incontrada, penso ad Arisa ed Aurora Ramazzotti, Giulia De Lellis, che si sono pubblicamente esposte mostrando i propri difetti fisici. Perché si fa fatica vedersi così come siamo e amarci per questo? Perché siamo figli di una cultura dell'immagine che tutto il novecento ci ha imposto e che oggi abbiamo digitalizzato a tal punto che la sola cosa che conta è la percezione che diamo di noi attraverso i social. I nostri figli sono figli di questa realtà, in cui la percezione che gli altri hanno di te conta più di quello che sei. Nello specifico il problema riguarda il corpo delle donne, che è un vero e proprio campo di battaglia.
Su quel fronte siamo ancora lontani da un equilibrio?
Lontanissimi, perché se da una parte si portano avanti battaglie per tutti, dall'altra il corpo della donna continua ad essere ossessivamente e ancestralmente una questione di desiderio. Se il tuo desiderio devi stimolarlo in qualche modo, la donna deve avere quei canoni, ma vuol dire ancora rispondere a un concetto di desiderio che va in una sola direzione. Perché dobbiamo ancora sentirci oggetto del desiderio di un pensiero maschilista? Questa è una cosa che non accetto delle strategie di marketing che ci sono dietro al corpo delle donne.
Marketing, appunto. Il timore è che il business si intrometta anche in questo cambio di tendenza, il pericolo che mostrarsi così come siamo diventi esso stesso oggetto dei grandi interessi e venga, quindi, inquinato.
Questo è vero, è un problema che ha a che fare con la politica e con le nostre relazioni sociali. Però il corpo femminile come oggetto del desiderio è il non plus ultra.
A proposito della questione femminile, la presenza di donne in Tv in ruoli apicali è dominante al momento. A tuo modo di vedere la parità di genere è un traguardo raggiunto in televisione, o siamo ancora lontani?
La Tv è sicuramente donna in questo momento. Saremo però paritari nel momento in cui, anche a livello dirigenziale, ci saranno ruoli ugualmente ricoperti dalle donne. Il pensiero prevalente è che chi detta un percorso editoriale di proposta, idee e rappresentazione, non sia ancora donna. L'asimmetria è dura a morire e resiste.
Non avverti il pericolo di un femminismo troppo fondamentalista e del rischio che questa asimmetria finisca per riproporsi, un giorno, al contrario?
Il rischio c'è, per non parlare di donne che hanno interiorizzato così tanto il modo di fare e pensare maschile, che pur collocate in ruoli di potere riproducono esattamente lo stesso schema.
Quindi come la risolviamo?
Noi abbiamo parlato di maschi e femmine per secoli ed è vero, i maschi e le femmine ci sono, ma non è che ci sia un territorio che definisca cosa è maschile e cosa è femminile a tutti i costi. Dobbiamo liberare il femminile e il maschile che abitano in ciascuno di noi, questi concetti devono mischiarsi, scoprirsi, rinnovarsi e trasformarsi insieme. Così nasce una società che ha l'impronta di entrambi i sessi e non si basa su un semplice schema simmetrico, su una semantica ideologica maschio/femmina che ci siamo creati nel nostro cervello.
Negli ultimi due anni hai condotto quattro programmi, tutti molto diversi tra loro. In quale ti sei sentita più a tuo agio?
In quelli che sto facendo (ride, ndr). A Ruota Libera e Fame d'Amore credo rispecchino entrambi due modi diversi di manifestarsi di un'unica mia grande passione, quella di capire cosa muova la forza di un essere umano, facendo girare la ruota nella sua vita, facendo scelte sulle quali c'è da pagare un prezzo, su cui non scommette nessuno. Desidero scoprire le dinamiche psicologiche, spirituali, attraverso le quali una persona riesce ad essere libera.
Di quello che hai fatto in passato cosa ricordi con più piacere?
Fare UnoMattina mi è piaciuto molto, io avevo studiato per fare quel lavoro lì e quindi nel momento in cui l'ho fatto, al di là dell'orario terribile, è stato bellissimo, soprattutto per la possibilità di imparare da Franco Di Mare anche solo guardando in che modo gestiva alcune situazioni.
Meglio la mattina del pomeriggio, quindi?
Per lo stile e il modo sì, è stata una grande scuola che sono stata felice di fare.
Ormai sei definitivamente trapiantata dal giornalismo al generalismo. Ti manca la notizia quotidiana?
Mi manca molto e infatti mi drogo di notizie. Io cerco di portare il mio approccio, che è quello di costruire il racconto secondo una logica giornalistica, ma in questi anni sto imparando a raccontare anche in maniera diversa, comprendendo di dover accettare una mediazione tra i due piani. Ma all'approccio giornalistico non rinuncio, quando faccio Fame d'Amore seguo ciò che ho imparato a fare prima.
Vai in onda alla domenica pomeriggio, dopo Domenica In, dove sappiamo che l'anno prossimo si libererà il posto di Mara Venier. Un pensierino ce lo fai?
Ma di che cosa stai parlando? Siamo a ottobre, la stagione è appena iniziata, mi rifiuto di fare un'ipotesi così! Scherzi a parte mi lusinghi e in ogni caso spero che Mara faccia le scelte che ritiene opportune a prescindere, anzi mi auguro che resti e porti nella domenica degli italiani ciò che ha portato in questi ultimi anni. Lo dico anche nel mio interesse, perché gli ascolti di Mara fanno bene alla rete e anche al mio programma.
Dici che è un contenitore troppo personalizzato per poter essere preso in carico da altri?
Io penso che Domenica In sia Mara Venier, si è creata una fortissima identità, una simbiosi tra lei e il titolo. Io amavo la Domenica In di Corrado, di Baudo, ma ci portano indietro nel tempo, mentre lei ha creato una formula fortemente identitaria che è quella vincente. In definitiva, nessun altro potrebbe condurre Domenica In al posto suo e, secondo me, chiunque si troverà ad occupare quello spazio dovrà portare un altro progetto.
E tu non aspiri a presentarne uno?
Molto spesso, in televisione, si dà per scontato che se una persona fa questo mestiere debba per forza aspirare ad avere i titoli più altisonanti. Fai Da noi… a ruota libera e in automatico dovresti aspirare a fare Domenica In. Ma non è così, semplicemente perché io mi sto ancora cercando. Quando facevo informazione non ci pensavo nemmeno lontanamente all'ipotesi di fare una Tv generalista. Mi ci sono buttata e ora sto scoprendo che forse ho due anime. Non posso escludere che ne scoprirò una terza, ma nemmeno darlo per scontato.