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Flavio Insinna: “Sono stato depresso, alla morte di mio padre ho detto stop”

Ospite a “Le Invasioni barbariche”, il conduttore ha parlato del suo nuovo romanzo “La macchina della felicità” e dei suoi momenti esistenziali più difficili, dalla depressione alla durissima perdita del padre.
A cura di Valeria Morini
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Ultimo ospite della serata di "Le Invasioni Barbariche" è stato il presentatore Flavio Insinna. Il conduttore è arrivato alla corte di Daria Bignardi portando in dono una borsa della spesa con omaggi culinari ("Da questo programma sono passati tutti e nessuno ha mai portato niente. Ti pare giusto?") ed è intervenuto per presentare il suo libro "La macchina della felicità". Prima, però, insieme all'immacabile birra offerta dalla conduttrice, ha confessato di essere astemio e insonne: "Quindi stavolta dormirò".

Stimoltato dalle domande della Bignardi, Insinna ha quindi espresso una grande insofferenza nei confronti dell'attuale situazione politica:

Questo paese va amministrato, non comandato. Esco di casa la mattina e vado a lavorare che mi sento già sconfitto. Sento i politici discutere di beghe da cortile, perché questa gente non conosce la differenza tra comandare e amministrare. Vorei che questo paese fosse in mano a don Ciotti e Landini, con tutta la sanità a Gino Strada.

"La macchina della felicità" è il secondo romanzo scritto da Insinna, dopo l'esordio con "Neanche con un morso all'orecchio". Un romanzo che parla d'amore, il cui protagonista è un po' un alter ego dello stesso autore. Parlando del libro, Insinna ha rievocati momenti difficili del suo passato, dalla lotta alla depressione alla morte del padre. Il tutto, comunque, con la sua solita ironia:

Sono stato depresso, mio padre mi ha fatto curare e un po' ne sono uscito e un po' no. C'è chi dice che se hai il graffio nell'anima o fai lo psicanalista o fai l'attore. Io oggi ho imparato a volere bene alla vita e a essere allegro senza motivo. La vita è tentare di vivere, non di sopravvivere. Dopo la morte di mio padre mi sono fermato. E so di essere privilegiato, perché chi lavora in miniera o nella catena di montaggio non può fermarsi. Ma io l'ho fatto, perché non è vero che lo spettacolo deve continuare: mi sono fermato, ho tirato giù la cler come dite a Milano. Non per elaborare il lutto, ma per farmi passare la rabbia.

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