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Filippa Lagerbäck e la teoria della buccia di banana: “Ogni errore è una grande opportunità”

Intervista a tutto campo a uno dei volti di “Che Tempo che fa”: dall’arrivo in Italia al successo televisivo, passando dalle esperienze televisive, cinematografiche e letterarie: “Per il lavoro sono sempre pronta a scivolare sulla prossima buccia di banana”. Sbagliare è il prezzo di chi è “curioso verso il mondo e gli altri”.
A cura di Gianmaria Tammaro
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Prima di tutto, la concretezza: “Sono abbastanza sintetica nelle risposte. E lo sono in generale. Se c’è un motivo, mi faccio intervistare volentieri. Ma di solito parlo solo quando ho qualcosa da dire”. Mentre si racconta, Filippa Lagerbäck non ha nessuna fretta. Va avanti e indietro tra i ricordi: dalla primissima volta in tv all’arrivo in Italia, e dalla casa di “Che tempo che fa” alla vita di ogni giorno, in famiglia. Ha la voce leggermente piegata dal peso di un sorriso: e le parole suonano contenute, precise; mai allungate all’inizio o ricamate alla fine.

Insieme alla concretezza, la sincerità: Filippa ripete più volte di essere contenta e soddisfatta del suo lavoro; parla di televisione e di intrattenimento, e di informazioni e di social. Gli impegni di ogni giorno e le idee di sempre. Parte dal presente, da “Che tempo che fa” (ogni domenica sera su Rai3). Si dice entusiasta della collaborazione con Fabio Fazio. “In studio è tornato finalmente il pubblico, e sono tornati anche gli applausi e il calore delle persone. Ed è stato importante: per noi, per gli artisti e per tutta la redazione. È stato un grande regalo, questa quasi normalità. Sono felice. Quando ho cominciato, mia figlia era una bambina: aveva 2, 2 anni e mezzo. Oggi ha 18 anni, ed è venuta in studio con me per la prima volta. Quella di Che tempo che fa è come una famiglia. Ci conosciamo da moltissimo tempo”.

Quando c’è stato il primo incontro?
Prima di me c’era Ilary Blasi. All’epoca avevamo lo stesso agente, Franchino Tuzio, che oggi purtroppo non c’è più. Era un grande uomo, una brava persona. Quando Ilary ha lasciato il programma, sono stata contattata. E ho accettato immediatamente.

Si trova bene, insomma.
Fabio, secondo me, ha una preparazione incredibile. Mi meraviglio continuamente della sua capacità di cambiare: passa dal cinema all’attualità, dalla politica alla storia. Conosce i musicisti e conosce la storia della musica, e ha la battuta pronta. Non è una cosa che si può improvvisare, questa. La sua abilità è abbastanza unica in Italia. Provo una grandissima stima nei suoi confronti. Il mio ruolo è piccolo. Ma lo sapevo fin dall’inizio, e sono contenta così. Per me questa rimane una grande occasione.

Perché?
Perché mi stimola, e perché mi spinge ad andare avanti. Non sto mai ferma. Sono attiva anche sui social. Non compaio solo per cinque minuti a “Che tempo che fa”. La verità è questa: sono impegnata e sono realizzata, lavoro tanto e sono contenta di fare quello che faccio. Non c’è sempre bisogno dei riflettori e delle luci della prima serata. Alcune persone hanno quell’obiettivo. Io però sto bene così. E, lo ripeto, sono felicissima per tutte le cose che sto facendo.

Ha esordito in televisione nel 1998, a “Superboll”, con Fiorello.
E quella era completamente un’altra televisione. Non parlavo bene l’italiano. Venivo dal mondo della pubblicità e della moda, e conoscevo Fiorello: lo stimavo, lo seguivo, e mi faceva ridere. E quindi, quando mi hanno proposto quel lavoro, ho detto di sì. È una mia caratteristica: mi piace provare cose nuove.

E come è andata?
Doveva essere un programma registrato a Roma. Io vivevo ancora all’estero. Poi hanno deciso di andare in diretta e sono stata costretta a trasferirmi. Era tutto diverso; avevo quasi perso il contatto con la mia vita quotidiana. Forse, ecco, non è stata proprio l’esperienza che mi aspettavo. E infatti ricordo di aver pensato: forse la televisione non fa per me.

Che cosa non la convinceva?
La sua struttura, principalmente. E poi perché quello della televisione era un mondo completamente nuovo per me. Nella moda mi sentivo più a mio agio, ecco. Ma dopo un anno è arrivata una nuova proposta, con “Candid Angels”, e ho cambiato idea.

Com’è la televisione di oggi?
La televisione segue i mutamenti del mondo e del paese, e soprattutto delle persone. Quindi cambia con i gusti, con gli interessi e con il senso dell’umorismo. È in continua evoluzione. Chi è bravo riesce ad adattarsi e ad ascoltare gli spettatori. Perché sono loro, alla fine, a decidere. Se fai un programma e va male, c’è un motivo.

Lei che rapporto ha con il pubblico?
Sono molto in contatto con le persone. Sui social, per esempio: rispondo appena posso, e parlo con tutti. Voglio capire. Ovviamente parlo di critiche costruttive, di chi usa il tono giusto. Non di chi urla o insulta.

La tv è solo un elettrodomestico, come dice qualcuno, o ha anche uno scopo educativo?
La Rai offre un servizio pubblico. Fabio, durante il lockdown, è andato in onda e l’ha fatto per intrattenere e, soprattutto, per informare. E secondo me, è stato veramente importante per le persone. Poi chiaramente ci sono altri programmi, che hanno un altro tipo di obiettivo. Bisogna stare attenti; bisogna imparare a informarsi, a volte.

I ruoli, forse, sono sempre più confusi: e chiunque, oggi, sente di poter dire qualunque cosa.
Su determinati argomenti, il punto di vista di una persona che non ha studiato non può valere quanto quella di una persona che si è specializzata in una certa materia. Sulla salute, dobbiamo ascoltare i medici: fine del discorso. Io uso i social per divulgare, non per insegnare; li uso per condividere leggerezza e tranquillità, e per ribadire l’importanza del rispetto reciproco. Può sembrare banale: ma anche questo ha il suo ruolo. Non cerco mai la polemica, mai. Non mi interessa.

Eppure la polemica sembra essere tutto quello che ci rimane.
Io vivo seguendo queste stesse idee. E in televisione, secondo me, è fondamentale non fare solo talk politici dove si urla e ci si insulta. Anche questo è uno dei meriti di Fabio: non alza mai la voce, non si impone; non è aggressivo. C’è dialogo a “Che tempo che fa”, e gli ospiti hanno il tempo necessario per potersi esprimere.

Facciamo un passo indietro. Parliamo per un momento della sua esperienza come attrice in “Silenzio… si nasce” (1996).
È stata un’altra buccia di banana: io scivolo sulle cose, sulle occasioni. Per me le bucce di banana sono fortune improvvise. Ci sono donne preparate e bravissime, che sono ottime attrici. Io ci ho provato, ma non è il mio mestiere. È stata sicuramente una grandissima possibilità: ho potuto lavorare con Giovanni Veronesi, Sergio Castellitto e Paolo Rossi, e va bene così. È capitato, e ora posso metterlo nel curriculum. Ho fatto un film e ho fatto un libro (Io pedalo. E tu?, Gribaudo), e soprattutto ho avuto una figlia.

Qual è la cosa più importante nel suo lavoro?
L’umiltà. E la preparazione. Non basta fare una cosa, una volta, per sentirsi realizzati. Niente, secondo me, succede per caso: serve studiare e serve impegnarsi.

Lei perché si è trasferita in Italia?
Per amore. Come sempre. È il cuore che decide, in questo genere di cose. Ho viaggiato per tantissimi anni in giro per il mondo; poi mi sono innamorata qui in Italia e mi sono fermata. Tra le tante città che ho visto e visitato, sono finita a Milano. Che è una scelta piuttosto particolare: è la prima città che ho conosciuto dopo aver lasciato la Svezia.

Quando ha deciso di partire?
Appena finito il liceo. Sono arrivata a Milano, ho cominciato a lavorare nella moda e poi ci sono ritornata dieci anni dopo. Come ripeto spesso, questo paese è la mia America: ho trovato un lavoro e una famiglia, e ho trovato la felicità.

Sono davvero così diverse l’Italia e la Svezia?
Può sembrare un luogo comune, lo so, ma è stato qui che ho riscoperto l’amore per la mia famiglia. In Italia si sta più insieme, e ci si protegge a vicenda. In Svezia, invece, tendiamo a staccarci prima. Ho sempre ripetuto a mia figlia di essere indipendente, di trovarsi un posto tutto suo. E adesso che è maggiorenne e che è andata via, mi manca.

Che cosa conta alla fine?
Non una sola cosa, ma diverse cose. Al primo posto c’è sempre la famiglia. Per il lavoro sono sempre pronta a scivolare sulla prossima buccia di banana: è necessario rimanere curiosi verso il mondo e verso gli altri.

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