Fabrizio Corona aggredito, stava realizzando un servizio sulla droga per Massimo Giletti
Nella serata di ieri Fabrizio Corona è rimasto vittima di un'aggressione al "boschetto della droga" di Rogoredo, alla periferia sud di Milano. Si tratta di una delle piazze di spaccio all'aperto più grandi della Lombardia, per documentare con una troupe televisiva quanto avviene nella zona, finita spesso al centro delle cronache. Ma l'ex re dei paparazzi, che era accompagnato a quanto pare da sei suoi collaboratori, sarebbe stato riconosciuto da alcuni pusher, derubato e picchiato, ferito in volto.
Perché Fabrizio Corona era nel boschetto della droga di Rogoredo
Fabrizio Corona stava girando un servizio per il programma televisivo "Non è l'arena", condotto da Massimo Giletti e in onda su La7 ogni domenica. Stando a quanto si evince dalle sue storie pubblicate su Instagram, l'imprenditore si trovava a Rogoredo con l'obiettivo di realizzazione un reportage che documentasse ciò che accade nella piazza di spaccio. Nelle diverse sequenze consultabili sul suo profilo Instagram lo si vede parlare alla telecamera del suo percorso di tossicodipendenza e intervistare una persona sullo stesso argomento.
Fabrizio Corona nuovo inviato di Non è l'Arena
L'avvicinamento tra Fabrizio Corona e Massimo Giletti risale a diversi mesi fa, con una discussa intervista a "Non è l'Arena". Un'intervista che fece molto discutere, quella fatta da Massimo Giletti, e alla quale è probabilmente seguita un'evoluzione del ruolo di Corona nel programma. Facile immaginare che la sua presenza nella puntata di domenica 16 dicembre del talk show di La7 sarà funzionale al racconto di questa disavventura che lo ha visto protagonista.
Le dichiarazioni dell'imprenditore dopo l'aggressione
Piuttosto evocative le parole scritte da Fabrizio Corona dopo l'accaduto, sempre attraverso la sua pagina Instagram, che descrivono i momenti concitati della serata: "Stasera mi sono recato al Bosco di Rogoredo, patria nazionale dello spaccio italiano, dove anche la polizia si rifiuta di entrare. Mentre le uniche inchieste realizzate sono state fatte di giorno da giornalisti accompagnati da polizia di scorta a circondare la zona, Io mi sono recato lì solo con un operatore e un fonico per raccontare il parallelismo della mia tossicodipendenza e quella che colpisce l’Italia e la povera gente che vede uno stato inerme e una polizia disinteressata. Tutto questo solo per raccontare in maniera oggettiva, come ho sempre fatto, la realtà. Ora, in questo momento ringrazio Dio per aver protetto mio figlio Carlos Maria".