Fabio Caressa ricorda Galeazzi: “Ha portato il giornalismo sportivo in una nuova dimensione”
La morte di Giampiero Galezzi apre una voragine nel mondo del giornalismo e della televisione italiana. A ricordare il "bisteccone" nazionale a Fanpage.it è Fabio Caressa, protagonista di una generazione di giornalisti sportivi che ha visto nella versatilità e l'eclettismo di Galeazzi una stella polare da inseguire per un nuovo stile di racconto.
Conosceva bene Galeazzi?
L'ho conosciuto da ragazzino, nell'86-87. La zona era la Roma nord dei circoli e c'è tutta una mitologia legata a lui. C'è un famoso momento che ricorderà certamente Panatta, quando si incontrarono in un circolo e Galeazzi gli disse "Ammazza Adrià, non vedi come so' dimagrito? So' stato da Mességué (celebre dietologo, ndr)". "Sei stato da Mességué – rispose Panatta – e che te lo sei magnato Mességué?".
È stato un personaggio che ha rotto gli schemi.
Sì, e come tutti quelli che lo fanno, ha insegnato delle cose. Alla mia generazione ha insegnato le interviste sul campo che fu il primo a fare con Michele Plastino. Così come con Beppe Viola introdusse concetti di ironia e cabaret nel mondo del calcio, cosa che nessuno faceva prima perché in questo mestiere tutti si prendevano troppo sul serio.
Per questo era anche criticato dalla categoria.
Molti benpensanti lo contestavano, ma a lui non fregava nulla e non gli interessavano nemmeno le critiche quando si mise in gioco facendo Domenica In. Ma i colleghi, in fondo avevano capito che regalava uno spazio diverso al giornalista sportivo, facendo fare un salto avanti di vent'anni a questa professione. Lo ha fatto anche da uomo di spettacolo quale era, rendendo i giornalisti sportivi popolari.
Ha inventato un genere, forse senza saperlo.
Ha portato l'emotività nella telecronaca, mettendo da parte i toni istituzionali e lasciandosi andare, riuscendo a restituire l'emozione pura senza filtrarla. Spesso si dice che i telecronisti che fanno così si mettono davanti all'evento, ma è proprio il contrario: non fanno i bravi giornalisti, ma cercano di trasmettere l'emozione diretta al pubblico. Ci vuole un gran coraggio e mica era facile urlare come faceva lui, per primo.
Da protagonista di quella generazione che ha combinato in modo definitivo cronaca ed emotività, lo senti un tuo padre artistico?
Da un punto di vista ideale non c'è dubbio, non solo il mio ma di tutta la nostra generazione. Poi eravamo diversi, se dovessi pensare proprio a un suo erede io penso a Pierluigi Pardo, ma certamente è stato un nostro padre. Non ci ho mai lavorato insieme, ma è quello che ha tracciato una nuova strada in questo lavoro e noi l'abbiamo percorsa.
Vi incontravate spesso?
Non avevamo rapporti frequenti, ci ritrovavamo ai grandi eventi e parlavamo di tutto. La discussione più bella l'avevamo avuta nel 2006 durante i Mondiali, l'ultimo grande evento da lui raccontato. Già allora non stava bene e tutti speravamo perdesse un po' di peso, ma non c'è mai stato verso. Giampiero era uno a cui dicevi mettiti a dieta, mangia solo una mozzarella e lui ne mangiava cinque.
Come verrà ricordato, secondo te
Come uno che ha aperto la strada a un nuovo modo di fare giornalismo. È stato un pioniere da quel punto di vista ed io ho sempre grande stima per queste persone che hanno un pensiero laterale, riuscendo a cambiare con coraggio le cose, portandole in una nuova dimensione. Secondo me lui ci è riuscito a pieno.