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Eurovision 2022, Carolina Di Domenico: “Condurlo sarebbe un onore, ci speriamo in tanti”

Portavoce dell’Italia quest’anno, commentatrice in radio e Tv delle passate edizioni, Carolina Di Domenico all’Eurovision è di casa. In questa intervista ripercorre gli snodi principali della sua carriera e racconta l’emozione della vittoria dei Maneskin: “Stavo per tornare a casa prima del televoto, ma ho fatto bene a restare. La loro scalata è una cosa che dà speranza ai sogni”.
A cura di Andrea Parrella
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Mentre in Italia stiamo ancora smaltendo i postumi della vittoria dei Maneskin, la macchina dell'Eurovision italiano è già partita. Forse non dal punto di vista formale, ma di certo nel gioco di ipotesi che aiutano ad immaginare come sarà, dove si farà e, soprattutto, chi condurrà l'Eurovision 2022. Se guardiamo alla storia recente di questa manifestazione tornata in auge in Italia solo da pochi anni, è inevitabile considerare il nome di Carolina Di Domenico. Quest'anno è stata lei la portavoce che ha annunciato a quale paese l'Italia avesse assegnato i 12 punti e a lei è toccato assistere allo spogliarello di Cristiano Malgioglio e Gabriele Corsi dopo la vittoria. Ma l'Eurovision è casa per Carolina Di Domenico, che lo aveva già commentato negli anni scorsi, sia in radio che in Tv. Ce lo ha raccontato in questa intervista.

Che ricordo ti porterai di quest’anno?

Per me non era la prima volta, però in questa versione ho avuto modo di capire meglio la macchina. Era un intervento di pochi secondi, ma solo per quello abbiamo fatto almeno quattro riunioni e prova varie. Capisci che si tratta di un'organizzazione che non lascia niente al caso. Ma c'è anche una gentilezza estrema dell'organizzazione, è una cosa che ti restituisce un'idea di inclusività e appartenenza al contesto europeo che è rara. Nonostante l'organizzazione molto rigida non senti la presunzione di chi dall'altra parte ti dice come devi fare le cose, è un lavoro di collaborazione incredibile.

Tutto questo nonostante fosse un'edizione con il freno a mano tirato, segnata dal Covid.

La sensazione si è avvertita pochissimo. Osservando le dinamiche di questo evento abbiamo avuto davvero la percezione che fosse tutto finito. Poi sappiamo che non è così, però il senso dello spettacolo era vivo come quello di due anni fa. Per chiunque lavori in questo settore, o semplicemente abbia la passione per la musica, è ossigeno puro.

Il polverone polemico sui Maneskin sembra domato. Che idea ti sei fatta della dinamica attraverso la quale la fake news ha preso piede ed è dilagata?

Non ne abbiamo avuto subito una percezione chiara. Stiamo parlando di un evento dalla portata mediatica incredibile, la sensazione che ho avuto è che bisognasse cercare qualcosa. Se quel qualcosa poi lo fa il vincitore hai fatto bingo. Pensare che Damiano avesse fatto una cosa così è folle anche solo da concepire, è un'offesa all'intelligenza, ma credo anche che sia una dinamica figlia di questo tempo in cui si avverte la costante necessità di cercare scandalo ovunque.

Condividi l'idea di correre dietro a certe questioni evanescenti col rischio di assecondarle?

Chi ha fatto la domanda a Damiano in conferenza stampa ha fatto il suo lavoro. È successo questo, si sta dicendo quest'altro e ti do modo di rispondere. Era una cosa folle quanto potenzialmente molto grave, ma sarebbe stato sbagliato non farla venire fuori, perché lui non avrebbe avuto modo di spiegarsi e smentirla.

MTV Day, 2007
MTV Day, 2007

Hai esordito in Rai, ma sei evidentemente simbolo di una generazione di volti televisivi legati alla storia di MTV e alla figura del VJ. Hai mai avuto la sensazione che questa etichetta fosse un limite?

Più che una sensazione condivisa, direi che è un fatto, basta guardare i palinsesti delle reti nazionali. In parte ci sta, per molti di noi quello è stato il momento di massimo successo e la televisione tende ad attivare dei meccanismi nostalgici. Però è chiaro che noi veniamo spesso bollati così. Io ho fatto programmi di sport, di medicina, il Dopofestival, però resto sempre la VJ di MTV. Va anche detto che, pur non rinnegando quei tempi, se analizziamo i percorsi di buona parte di quella generazione di conduttori, siamo riusciti tutti a crescere e fare altro.

Quelle caratteristiche che vi hanno resi speciali e forse troppo sofisticati per la televisione generalista, oggi sembrano le più ricercate per la conduzione di un programma. Forse un po' in ritardo…

Forse sì. Ci sono stati dei momenti in cui mi sono trovata davanti a qualcuno che mi diceva io fossi percepita come troppo alternativa rispetto al profilo che si cercava.

Carolina Di Domenico alla conduzione del Dopofestival con Edoardo Leo nel 2018.
Carolina Di Domenico alla conduzione del Dopofestival con Edoardo Leo nel 2018.

La tua dimensione professionale in questo momento è principalmente radiofonica e meno televisiva. È il frutto di una scelta?

Radio e Tv sono due cose diverse. La radio è entrata nel mio percorso per caso, ancora ricordo quando eravamo a MTV e Federico Russo, che lavorava già in radio, mi incitava a provare. Io mi rifiutavo solo all'idea, mancava la fisicità. Poi dal 2008 ho iniziato a farla e a capire il valore del mezzo, le sue capacità. Indubbiamente se dobbiamo mettere la presenza televisiva e quella radiofonica nei miei ultimi dieci anni di carriera, vince la seconda. 

Dal 2019 aggiungi la comicità al tuo registro partecipando a 610 con Lillo e Greg.

Sì ma quei due mi fanno esprimere poco e si prendono tutta la scena, mentre io potrei dare così tanto! Scherzi a parte con loro è un mondo completamente diverso rispetto a qualsiasi esperienza abbia fatto in radio. Sono entrata a 610 da fan e tale voglio rimanere. Io il copione dei loro sketch non lo leggo, voglio godermeli ma ho lo svantaggio di non riuscire a tenermi ed annunciare il brano. Sono due artisti assolutamente imprevedibili e a volte si aggiunge pure Valerio Lundini, quindi io mi trovo completamente travolta da esempi eccellenti di una scuola comica che amo.

A Radio 2 con il compagno Pierluigi Ferrantini.
A Radio 2 con il compagno Pierluigi Ferrantini.

Torniamo a Eurovision. Negli ultimi anni se ne è spesso parlato come un evento laterale, che la Rai non voleva vincere perché disinteressata ad ospitarlo. Leggenda metropolitana?

La verità è che l'Eurovision è cambiato nel tempo. Noi ne parliamo da sei o sette anni, ma prima faceva discutere per il trash imperante. Nel tempo l'asticella si è alzata, quest'anno partecipavano band straniere che passano abitualmente nelle nostre radio e quello che era un evento prevalentemente di costume ha assunto una dimensione musicale importante. Sull'interesse per l'evento, io credo sia uno spettacolo musicale di una tale portata che è difficile pensare di non volerlo organizzazione.

Se l'evento cambia pelle, rischia però di perdere identità.

Infatti credo che quella componente debba rimanere. Io ad esempio sono contraria all'idea che molti cantino in inglese, sentire lingue e sonorità diverse a seconda dei paesi garantisce un'identità europea dell'evento. Sarebbe giusto che ognuno portasse la propria lingua e i suoi del luogo da cui proviene.

Escludendoti dalle candidature, hai immaginato una coppia ipotetica per la conduzione?

Non è detto si tratti di una coppia, a memoria ricordo che ce ne sono sempre più di due. Sicuramente mi piacerebbe si trattasse di una cosa corale e intergenerazionale, con conduttrici e conduttori di diverse età. Questo è un evento che deve diventare di tutti, richiamare un pubblico più stratificato e diversificato dal punto di vista anagrafico.

E includendoti nella rosa, ti ci vedi conduttrice dell'Eurovision 2022?

Sarei disonesta se dicessi che mi dispiacerebbe, sarebbe un onore. Mi rendo conto che sul piatto siamo in tanti, ma sarei onorata di una cosa del genere, Ovviamente lo guarderò anche se non dovessi esserci io.

Complimenti per la diplomazia. La storia recente ci dice che la conduzione ti spetterebbe quasi di diritto.

Di diritto no, mi fa piacere pensare di aver portato fortuna all'Italia e da napoletana superstiziosa sarei costretta a rimettere le scarpe da ginnastica sotto l'abito da sera. Pensa che io sabato stavo andando via dopo l'intervento e prima del televoto, notando anche la situazione di classifica dei ragazzi, i paesi concorrenti erano stati un po' avari. Poi ho iniziato a vedere la situazione che cambiava per gli altri e quindi mi sono detta "quasi quasi resto". Doveva andare così.

I Maneskin sono un'anomalia anche per quel respiro internazionale che un po' ci riscatta culturalmente. È una chiave di lettura del loro successo?

La scalata dei Maneskin è una di quelle cose che dà speranza ai sogni. Vedere dei ragazzi di 20 anni che partecipano a un contest europeo, che parlano inglese e per questo si amalgamano agli altri conta molto, al di là della retorica. Da mamma spero che possa essere uno stimolo per i ragazzi. 

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