Eppure Giovanni Floris mi pareva un progressista
Sarà stata una grande illusione, oppure è un'evoluzione normale che non si vuole accettare? In un'idea generale, e si direbbe pure generica, di sinistra, Giovanni Floris e il suo Ballarò rappresentavano insieme, assemblati, uno tra gli ultimi avamposti televisivi di quella sinistra che si è creduta riformista. Ammesso che sia mai esistita questa frangia. Come dire, ascoltare la sigla del programma arrecava allo spettatore che guardava politicamente da quella parte per abitudine una tranquillità di fondo, la consapevolezza di trovare un luogo ameno dove ci si potesse rinfrancare.
L'impressione è che appunto lì, più che altrove, parevano affiorare scampoli di progressismo, quello che il popolo della sinistra, tutto, ha inseguito come unica soluzione fattivamente praticabile. Poi però hanno dimenticato che bisogna praticarlo questo "ismo", non solo perorarne le cause. In pratica, è quasi sicuro che il programma di Giovanni Floris non abbia mai mosso un voto, semmai contribuito a rafforzare una sorta di costrizione a preferire la sponda sinistra pur di non guardare cosa ci fosse dall'altra parte: Berlusconi è sempre peggio, pure del progressismo che non si fa.
Credere in questa funzione di Ballarò è stato valido, per quel popolo, fino a qualche tempo fa, se vogliamo sino a ieri, inteso in senso scolastico. Cioè fino a quando non è venuta fuori un'idea alternativa di progressismo (praticabile o meno che sia). Quell'idea che prevede, alla base, che progressista è chi il progressista fa (inutile dire si parli del Movimento5Stelle). E allora succede che Floris, come un po' tutti i suoi colleghi al momento, Servizio Pubblico compreso, cerchi disperatamente un segno di vita da parte di questo nuovo movimento, che si palesi e manifesti nelle forme in cui il progressismo scaduto prevede si manifesti. Ma non risponde mai nessuno, perché in studio "Giova" si porta il reparto di geriatria (inteso non strettamente in termini anagrafici) dei partiti. E non è di certo questa la maniera più attraente per chiamare Grillo, anzi è l'ultima da contemplare.
Ospita Maurizio Lupi che continua a scrivere, chissà cosa, sui taccuini quando parlano gli altri e a chiamare l'ex direttore de L'Unita Concita "De Gregori", supponendo forse una parentela illustre col cantautore. Incarica di presenziare Matteo Renzi, che quelle poche cose rimaste da dire le urla ad un tono di voce irrimediabilmente alto. Ed in generale continua a fare il gioco delle parti opposte, convocando due fazioni che, colpevoli entrambe, si stanno adoprando sempre più nella tattica del vicendevole appoggiarsi all'altro: prima si scannavano, adesso non badano a spese nell'utilizzo di "sono d'accordo con lei, convengo con quello che dice il senatore, riallacciandosi alla giusta considerazione che faceva l'onorevole…
Giovanni Floris vive al momento un disagio comunicativo, motivato da una reazione popolare (come sempre esagerata) che implica per tendenza lo spettatore a ritenere noioso Ballarò, che noioso sarà, ma di certo non lo è diventato all’improvviso. Ballarò non ha scordato di dare notizie, si è semplicemente Bersanizzato, che è la declinazione peggiore si possa assumere in questo momento. Non si ha niente, umanamente parlando, contro Bersani, ma se il martedì di Raitre ne assume le stesse capacità dialettiche, finirà per parlare senza dire alcunché. Ecco il problema di Bersani.
Invertire la tendenza di un'abitudine è difficile. Più difficile di trovare il modo per farlo, è mettere questo modo in pratica. Un po' come è successo per il progressismo di sinistra. Di certo, la copertina di Maurizio Crozza non potrà fare il lavoro sporco all'infinito.