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Doc3 racconta lo showman Chavez ed esalta il potere del documentario Rai

Raitre valorizza, in estate, la sezione aziendale apparentemente più viva e meno contaminata. Lo dimostra un bel documento sulla rivoluzione Bolivariana ed il leader che la ispira.
A cura di Andrea Parrella
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Nel più assoluto mortorio del panorama televisivo estivo sembra funzionare la sola replica, piuttosto che la riproposizione di questo o quell'altro film. Fatta eccezione per il Prima serata di Porta a Porta di ieri sera, tra Raiuno e Raidue la programmazione non si spinge oltre film di bassa lega o premi estivi. Quest'anno la prima rete ha provato a rilanciare persino il Festival di Castrocaro, affidandosi alla scelta sicura di Alessandro Greco, che sui giornali di gossip parla di una sua rinascita televisiva. Ad essere particolarmente predisposto all'estate è invece il documentario, che per il resto dell'anno trova meno spazio e finisce per essere soffocato dal peso dei palinsesti, relegato alla notte più profonda.

Raitre si serve largamente della programmazione di Rai Educational con una certa sapienza. E allora ieri sera, subito dopo aver visto, a Linea notte, il primo incontro dell'ormai aperta campagna elettorale 2013, con Quagliariello impegnato a farsi vanto delle sue qualità di storico, Doc3 ha presentato un racconto interessante dei quattordici anni di presidenza di Hugo Chavez in Venezuela. E' complesso, pur dopo averlo visto, percepire materialmente quale sia la situazione attuale del paese. Chavez da subito ha messo al centro della sua rivoluzione socialista il potere petrolifero di cui il Venezuela è dotato (pare che le riserve siano quantitativamente impareggiabili). Tuttavia, pur riscontrando un seguito fortissimo, dopo quasi tre lustri c'è chi dice che le cose non siano più come prima, quando prima è sempre meglio.

Quello che colpisce è il rapporto che il presidente ha costruito con la televisione. Sin dalla sua prima elezione, più o meno ogni domenica Chavez è assoluto protagonista di maratone in diretta nelle quali spiega dei suoi propositi, cerca di mantenere vivo il contatto con l'elettorato. Insomma, una campagna pubblicitaria infinita, al pari di un regime. Tiene benissimo la scena, è padrone assoluto della telecamera e, nell'intervista, dice di aver da sempre capito quale fosse il valore della comunicazione. E' ancora arduo comprendere se l'agglomerato sudamericano sia il porto inevitabile del futuro del mondo, se quindi si tratti ancora di paesi in via di sviluppo, o se ci si trovi davanti a delle occasioni di autonomia sostanzialmente perdute. Vedere Chavez ricercare una riforma costituzionale in senso socialista, con delle parole e dei toni che paiono di stampo retrò, rende difficile non ridurre tutto ad un dejavu. Insomma: la sua riforma il potere vuol concentrarlo davvero nelle mani del popolo, o è un semplice tentativo di guadagnarsene più di quanto già ne abbia?

Interrogativi ai quali può rispondere la storia, no di certo un documentario. Resta il merito di aver parlato di una fetta di terra che si fa ancora fatica a capire. Il documentario non va demonizzato, sebbene il nome lo renda quasi inevitabile, visto il riverbero di seriosità. Si pensa che la rinascita ipotetica della Rai possa al contrario ripartire proprio da qui, dalla cultura. Per un motivo che non è spiegabile scientificamente, l'azienda riesce a trattenere in seno delle rare professionalità e, in generale, la sezione culturale della Rai pare il luogo meno contaminato dai malanni che vanta l'azienda. L'augurio è che il documentario consista nella vera sperimentazione estiva e che non sia solo un suppletivo.

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