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Dieci anni senza Mike Bongiorno, l’uomo comune che la TV ha reso mito

A dieci anni dalla sua morte, Mike Bongiorno resta emblema di quell’uomo comune innalzato a modello ideale di cui Umberto Eco parlava nella sua “Fenomenologia di Mike Bongiorno”. Un personaggio divenuto immortale soprattutto grazie alla sua capacità di intuire come la gloria televisiva passasse per la normalità, l’esserci tutti i giorni. È così che è diventato un mito.
A cura di Andrea Parrella
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Si prova un certo timore generale ad accostare il concetto di normalità a Mike Bongiorno, complici naturalmente  la riverenza e il rispetto che l'Italia tributa al personaggio. Ma come, ci si chiede, possibile che il signore della televisione per eccellenza, l'uomo legato al concetto di conduzione da un rapporto di antonomasia, probabilmente tra i personaggi di maggior fama della storia recente di questo Paese, venga classificato come normale?

La risposta, come si intuirà dall'incipit di questo articolo, è che sì, Mike Bongiorno era un emblema di normalità, per lo meno se si guarda alla normalità come quella categoria che la televisione sa esaltare più di ogni altra, trasformandola in un un certo senso in eccezione. A Bongiorno va riconosciuto il merito d'esserstato il primo a vederci lungo, intuendo come questa peculiarità si sposasse col suo modo di essere.

Umberto Eco lo aveva definito un everyman nella sua "Fenomenologia di Mike Bongiorno, un breve saggio illuminante del 1961 che utilizza Mike per mettere a nudo la genetica della televisione, mezzo che Bongiorno ha incarnato interamente. Un vangelo se si vuole parlare di Mike. Everyman dicevamo, l'uomo comune, l'uomo di tutti i giorni che la TV presenta come modello ideale, contrapposto ai "superman" esaltati dal cinema e dal teatro.

In un certo senso la normalità è un filo rosso che coniuga molti dei passaggi cruciali della carriera televisiva di Mike Bongiorno. Era un giovane e piacente everyman quello che, con il giornalista Armando Pizzo, intervistava passanti in stazioni e aeroporti da protagonista di "Arrivi e Partenze", in assoluto il primo programma trasmesso dalla RAI – Radio Televisione Italiana, dunque il primo della storia della televisione italiana. Trasmissione rivoluzionaria per il primato detenuto, ma certamente elementare, normale appunto, nell'idea di mostrare azioni abituali, come quella del partire e arrivare a destinazione, nel tentativo di scovare storie interessanti.

“ "Sembra quasi che egli si venda per quello che è e che quello che è sia tale da non porre in stato di inferiorità nessuno spettatore, neppure il più sprovveduto. Lo spettatore vede glorificato e insignito ufficialmente di autorità nazionale il ritratto dei propri limiti".  ”
Umberto Eco

Fu un everyman ad accogliere, dopo un lungo corteggiamento, la proposta di Silvio Berlusconi di lasciare la Rai, la sola TV esistente fino a quel momento, per tentare l'avventura in Fininvest, poi Mediaset. Una scelta coraggiosa, si dirà poi, un salto nel buio tutt'altro che normale, ma fu lo stesso Bongiorno a raccontare, senza alcun imbarazzo, che il fatidico sì arrivò solo una volta palesata la cifra esorbitante che Berlusconi era disposto a proporgli (600 milioni l'anno, circa venti volte quello che Mike percepiva in Rai). E se non è normalità questa!

E non fu segno di normalità anche il portare "la gaffe a dignità di figura retorica, nell'ambito di una etichetta omologata dall'ente trasmittente e dalla nazione in ascolto"? L'istituzionalizzazione dello scivolone linguistico, del momento di imbarazzo in TV, ha aperto un filone, al quale si sono attaccati altri volti televisivi, ricavandone una certa popolarità. Per intenderci, forse Luca Giurato non sarebbe il personaggio che è nell'immaginario collettivo se la papera linguistica e l'errore di distrazione non fossero stati bonificati da Bongiorno.

Eco, dall'alto della sua autorevolezza e favorito dall'essere un coevo del primo Mike, raggruppò queste ed altre peculiarità di Bongiorno in una globale definizione di ‘mediocrità', a suo giudizio chiave assoluta del successo del conduttore. Chi scrive crede che quella mediocrità si sia evoluta a grado di normalità grazie a un tratto di Mike che è poi emerso col tempo, anche dai racconti di chi lo conosceva meglio: la consapevolezza. Non possiamo dirlo per certo, ma sono tanti gli aneddoti riguardanti la sua carriera, dalle gaffe alle liti, passando per gli imprevisti, che la leggenda vuole fossero pensati, studiati a tavolino da quell'uomo comune che conosceva a menadito i meccanismi televisivi, al punto da sapere che la riuscita sul piccolo schermo doveva passare dal centro, dalla media ponderata. L'impressione è che Mike ci fosse arrivato con largo anticipo.

Ed è forse per questo che oggi, esattamente a dieci anni dalla sua morte, il caro Mike continua ad essere un punto di riferimento assoluto per i tanti volti di spicco della televisione italiana. Carlo Conti, Gerry Scotti (che Mike designò come suo erede), il prossimo conduttore del Festival di Sanremo Amadeus, non sono forse tutti degli aspiranti everymen? 

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