#DiazinTv, come per magia non è più un tabù
Da una settimana è un tormentone su tutto il web. Forse la sigla è divenuta più celebre del film stesso: #DiazinTv. Il film di Daniele Vicari, oramai da quasi un mese al cinema, pare non abbia ancora trovato, ufficialmente, una rete disposta a trasmetterlo in televisione allorquando i diritti lo permetteranno. Per questo motivo la redazione del Tg3 ha lanciato, in particolare su Twitter, la proposta che il film venga acquisito dalla stessa Raitre, a conferma che la terza rete, pur senza mezzi economici (lo dimostra la polemica di Bianca Berlinguer sui tagli iniqui ai tg) sia l'ultimo baluardo vero del servizio pubblico, specie se rapportato, ad esempio, alle recenti scelte di "rivoluzione" del daytime per la prossima stagione delle altre due reti Rai (rischia di terminare L'italia sul due e arriva nientemeno che Amadeus, roba che scotta).
Negli ultimi giorni il direttore della terza rete Rai, Antonio di Bella, ha espresso, per la verità con una certa apparente sufficienza, come non ci fosse molto da gridare, che per lui non ci sarebbero problemi ad acquistare i diritti del film. E invece sarebbe proprio il caso di gridare, vista l'assurdità che un film del genere non fosse stato acquisito a priori da qualcuno. Da settimane si sente in giro che vedere Diaz al cinema dovrebbe essere un dovere morale, perché si possa conservare un'integrità civile. Si consiglia di andarlo a vedere e basta, senza troppi fronzoli, anche se i fronzoli sono importanti.
Il regista Daniele Vicari, era ieri sera ospite di Linea Notte. E' stato interrogato in senso generale sulla sua opera ed ha strenuamente difeso l'idea secondo la quale lui abbia raccontato una storia, una storia che tutti devono conoscere. Non l'ha fatto con filtri politici e dunque non accetta chi lo critica da sinistra dicendo che non abbia descritto il punto di vista dei no global. Ecco una frase che basterebbe da stimolo per andare a vedere il film. Il fatto che si fosse creato un buco, un vuoto tra il cinema e la tv, quasi tutta, dimostrerebbe un anacronismo forte di quest'ultima, la quale dovrebbe smettere di essere ricettacolo di ciò che gli altri "media" lasciano per strada senza essere promotrice di conoscenza. L'attenzione alle cose, in tv, nasce per induzione, senza autonomia.
Diaz avrebbe dovuto produrlo la televisione stessa, non scegliere in ritardo se fosse il caso o meno di mandarlo in onda fra due anni. Circa un mese fa, di domenica, in seconda serata, e prima che Diaz arrivasse al cinema, Raitre trasmise il documentario Black Block, ricostruzione altrettanto intensa e drammatica di ciò che accadde a Genova nel 2001. Prima di questo evento, che per la verità è passato piuttosto inosservato, l'argomento dei fatti della Diaz risultava, praticamente, non pervenuto in tv, se non per qualche stralcio di notizia ai telegiornali. Dopo la si fa facile a correre appresso a Diaz quando diviene un evento. L'onore va tutto a Raitre, che almeno aveva intuito tutto prima.