Claudio Bisio: “Lasciai Zelig per paura della monotonia, Sanremo esperienza più grande di me”
Con 40 anni di carriera nel pedigree e una visibilità che non accenna a ridimensionarsi, Claudio Bisio si candida di diritto ad essere uno degli uomini di spettacolo più longevi e prolifici della scena italiana. In questo momento è impegnato su tre fronti, dalla seconda stagione di Cops su Sky al ritorno con grande successo di Zelig e Tutta colpa di Freud su Canale 5. Uno e trino, Bisio guarda al passato, al presente e al futuro in questa intervista a Fanpage.it, dalla quale emerge un tratto distintivo di qualsiasi lavoro: il senso del ritmo per non andare mai fuori tempo.
In Cops ritrovi la Puglia. Da settentrionale hai sempre avuto sintonia comica con il sud.
In effetti è vero. Sin dai tempi d'oro della coppia di cabaret con Silvio Orlando, parliamo di 35-40 anni fa, poi con Alessandro Siani. In Puglia come a Santa Maria di Castellabate mi sento a casa.
Dalle parti del Cilento ormai sei un personaggio di culto, ci sei più tornato?
Come no, sono cittadino onorario e mi accolgono a braccia aperte. Mi sento a casa io e percepisco che mi sentano come un fratello. Ho saputo che fanno i materassini da mare con la foto di me e Alessandro insieme, a San Gregorio Armeno ci sono i pastori di noi due col giubbotto antiproiettile. Addirittura una di quelle palle di vetro che quando agiti c'è la neve, ma dentro al posto dl Duomo di Milano c'era la piazzetta di Castellabate con me e Siani.
Proprio come in Benvenuti al sud, per Cops ritrovi Luca Miniero che ti ha diretto più volte. I sodalizi fortunati con i registi, penso anche a Salvatores, sono una chiave della sua carriera da attore.
Assolutamente sì, con Luca c'è uno splendido rapporto, abbiamo girato insieme molte cose. Svelo anche un segreto, e mi fa piacere dirlo, che c'è un titolo scritto a matita nell'agenda di molti di noi che si chiama Bentornato al Sud. Dopo dieci anni era il caso. Non aggiungo altro.
Dopo diversi anni è tornato anche Zelig, con te e Incontrada alla conduzione. Come mai avevi detto basta?
Ho interrotto Zelig dieci anni fa, all'apice del successo di tutti noi, perché pur non essendomi stufato avvertivo un po' di monotonia dopo averlo fatto per 15 anni. Adesso c'era la voglia di riprendere.
È stato un enorme successo e il 9 dicembre c'è l'ultima puntata. Il ritorno è stato un episodio, oppure tornerà anche in futuro?
Presto per dire se ritornerà, ma la voglia di riscoprire nuovi talenti non si è mai sopita e io mi considero un comico. In questi anni, pur non facendo Zelig, ho sempre frequentato i locali e ad esempio ho notato che negli ultimi anni lo stile anglosassone della stand up ha attecchito molto anche in Italia, generando una nuova leva di comici che secondo me era importante provare a proporre al pubblico generalista. Con tutte le precauzioni del caso, ovviamente, perché non tutti sono da prima serata, per linguaggio e temi affrontati.
La percezione è che con lo stop di Zelig la comicità in Tv si fosse quasi congelata.
Mi trovi d'accordo. Valeva la pena provarci e mi sento di dire che con Zelig ci siamo presi anche qualche rischio. Annunciare comici come Vincenzo Comunale, Davide Calgaro, Max Angioni, rivelazioni di questa edizione, non è la stessa cosa che chiamare sul palco Gioele Dix, Teo Teocoli, Ale e Franz. In quel caso sfondi una porta aperta.
Antonella Elia, Michelle Hunziker, Vanessa Incontrada, Paola Cortellesi. Come è nata la sintonia con le partner femminili a Zelig?
Si è sempre creato un rapporto speciale, ma cito un caso emblematico che fa capire la casualità dietro certe cose. Michelle Hunziker è arrivata prima ancora che Zelig si chiamasse così, in un'edizione di seconda serata su Italia 1 che prevedeva per ogni puntata una spalla femminile diversa, da Simona Ventura a Carmen Consoli, passando per Giorgia Surina. Allora facevamo lo spettacolo in un locale che costeggia il Naviglio della Martesana, posto non esattamente invitante. C'era uno sketch che prevedeva entrassimo con degli stivaloni nel naviglio e Michelle, che arrivava con la sua figura algida, svizzera, da moglie di Ramazzotti, non dico intoccabile ma certamente iconica, si tirò su le braghe buttandosi nella Martesana insieme a noi. Lì ci conquistò.
Oltre a Zelig la tua carriera è un susseguirsi di ruoli molto diversi tra loro. Dal palco di Sanremo ai film da Oscar, fino a Tutta colpa di Freud. Non vuoi fossilizzarti o sei poco propenso a dire no?
Della mia carriera si vede chiaramente la punta di un iceberg, ma di no ne ho detti, anche se è prassi non parlare mai delle cose rifiutate. Mi risulta difficile dire no a proposte che stimolano in me curiosità. Sono attratto dalla sperimentazione, da ciò che esula dalla comfort zone. Sono nato a teatro, ma negli anni l'ho spesso dovuto mettere da parte per gli impegni in Tv e al cinema. Mi ci rifugio perché dopo un po' mi manca, però dopo quattro o cinque mesi non vedo l'ora di fare altro. Cerco di rifuggire la routine e il timbrare il cartellino.
Un tratto distintivo rispetto alla varietà dei ruoli, è che raramente sei stato fuori luogo. C'è un segreto?
Quando Enzo Jannacci fece 40 anni di carriera portò in giro uno spettacolo dal titolo "40 anni senza andare fuori tempo". Io ho 40 anni di carriera sulle spalle e mi piacerebbe dicessero la stessa cosa di me.
Ci sono state circostanze in cui ti sei sentito fuori tempo?
Penso proprio a Sanremo, esperienza bellissima ma è una cosa più grande di me, lontana da me, in prima serata su Rai1. Non posso negare di essermi sentito fuori dalla mia comfort zone e di avere giocato in difesa più che in attacco. Proseguendo sulla metafora calcistica eviti di scoprirti e provi a strappare un pareggio fuori casa. Ma temevo anche la ripresa di Zelig dopo dieci anni, mi sono chiesto se l'intesa con Vanessa sarebbe stata la stessa. Dopo 30 secondi abbiamo capito che era tutto come dieci anni fa, c'era ancora voglia. E allora in quel caso vai all'attacco, ti scopri, perché ti diverti anche a segnare tanti gol.
Quanto sono diverse le esperienza di Cops e Tutta Colpa di Freud?
Tutta Colpa di Freud aveva dietro un film riuscitissimo, con personaggi collaudati, che ha reso la serializzazione più semplice in termini di scrittura. Cops invece, a differenza di altre cose più collaudate, rappresenta una sperimentazione abbastanza ardita e molto interessante come genere, soprattutto per l'Italia. Dentro c'è una comicità sopra le righe, volutamente demenziale e che allude a Una pallottola spuntata più che al genere di commedia, che va a mescolarsi con codici diversi, dal crime alla comicità, passando per l'action. Raramente mi è capitato di sparare su un set come questa volta.
Sparare sul set è un tema che fa un certo effetto dopo la vicenda tragica di Baldwin.
Ci pensavo qualche giorno fa. Abbiamo avuto anche armi sul set, pistole vere. Ma credo che una cosa di quel tipo qui in Italia non sarebbe mai potuta accadere, il controllo è attentissimo. Prima di tutto noi non abbiamo mai avuto colpi in canna, cosa che a quanto pare in America ogni tanto accade.
Da comico consumato, come ti rapporti al tema contemporaneo della sensibilità che cambia e delle cose che non si possono più dire?
Io direi che è un piccolo paradosso. Lì dove si parla di politicamente corretto e di quello che non si può dire, la sopra citata generazione di stand up comedian dimostra che il campo delle cose che si possono dire si sta allargando. Sul linguaggio che cambia, direi che siamo bombardati da un'infinità di notizie che ci paiono assurde, dall'Europa che vuole cambiare i termini per parlare del Natale al fatto che non si dovrebbe più dire "ladies and gentlemen". Non nego di fare fatica a immaginare cose di questo tipo, ma è una cosa che fa semplicemente parte del nostro tempo.
Hai citato il tuo sodalizio con Silvio Orlando e mi viene in mente Zanzibar (Italia 1, 1987) di quasi 35 anni fa. Sei un nostalgico?
Hai citato una cosa che mi ha fatto venire un brivido sicuramente dettato da nostalgia. Essendo calvo già allora, forse sono quello invecchiato meno. Tuttavia devo dire di non essere particolarmente nostalgico, più che altro trasformo quel sentimento in voglia di rimettermi in gioco. Per esempio ripensarmi in Zanzibar con Angela Finocchiaro, Silvio Orlando e compagnia mi fa immaginare che è una cosa che rifarei domani.