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Alessio Boni: “Facevo il piastrellista e ne vado fiero, non scegli dove nascere”

L’attore lombardo si racconta a Silvia Toffanin in una lunga intervista dalla quale emerge il profilo di un uomo che si è fatto da solo, cominciando dal nulla. Nato da una famiglia proletaria, che niente aveva a che fare con il mondo dell’arte, Boni non rimpiange nulla, dall’aver fatto il cameriere ai fotoromanzi: “Qualsiasi lavoro tu faccia, se lo fai con onestà non c’è nessun problema”.
A cura di Andrea Parrella
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Una lunga intervista quella che Alessio Boni ha rilasciato a Verissimo, per presentare al pubblico il suo nuovo spettacolo teatrale, un adattamento del Don Chisciotte di Cervantes, ma soprattutto per raccontare se stesso. Un'intervista che riprendiamo perché la storia di Boni potrebbe raccontare la storia di molti. L'attore ha descritto gli inizi della carriera di un attore oggi incredibilmente celebre e amato, che tuttavia il grande pubblico italiano ha scoperto relativamente tardi e lui sembra esserne consapevole, vista la gratitudine rivolta al pubblico per l'affetto che ogni volta gli è dimostrato: "Io reagisco sempre in un modo abbastanza imbarazzato – risponde a Silvia Toffanin – perché mi chiedo cosa abbia fatto per avere tutto questo affetto. Mi butto a capofitto nel lavoro e trovo che sia anche un privilegio fare quello che mi piace, farlo con passione e trovare un tale riscontro mi emoziona sempre. Ogni applauso non è mai scontato. A me colpisce ogni volta l'affetto che ricevo tutte le sere, mi colpisce, perché un po' conoscete la mia storia".

Una famiglia proletaria

Un artista nato artisticamente dal nulla, senza padri putativi o padrini, da una famiglia che nulla aveva mai avuto a che fare con il mondo dell'arte: "Facevo il piastrellista ed è normale così, non mi autocommisero, non puoi scegliere dove nasci e a seconda di cosa facciano i tuoi genitori vieni indirizzato. Tutti erano piastrellisti e io facevo quello. Poi parti così e ti rendi conto che non ti piace, è un mestiere che ti ammazza fisicamente, non mi piaceva dove stavo e a 19 anni sono andato via, poi è andata come è andata. Però è per dire che non vengo da una famiglia in cui c'era qualcuno che faceva questo mestiere, la mia è una famiglia proletaria e quindi questo riscontro mi emoziona ogni volta". Il mestiere, la pratica da manovale, l'ha sempre trasposta in forma di teoria nella vita:

Ho sempre pensato a ogni piccola piastrella anche nel mio lavoro, non a tutto il pavimento, ma ad ogni singolo pezzo, uno per volta.

La scelta di partire

Boni ripercorre quindi la sua vita sin da giovanissimo, quando viveva ancora nel suo paesino di origine, Sarnico, nel bergamasco: "Io allora mi sentivo ignorante e ho fatto la ragioneria, che era l'unica scuola che potevo frequentare. Ma non mi piaceva, come fare il piastrellista, profitti e perdite mi interessano poco. E allora ho fatto domanda per andarmene nei carabinieri, guardia di finanza, polizia. Sono diventato poliziotto e l'ho fatto per quindici mesi. Ma anche quella è stata un'esperienza bestiale, però impari le regole. Mi è servito per fare 12 milioni che presi per andare negli Stati Uniti, dove sto sei mesi e alla fine non ho più una lira, metto inserzioni ovunque, faccio il babysitter, il pizzaiolo". 

Non rinnega nulla di ciò che ha fatto, proprio in virtù di quelle origini modeste che lo hanno portato a inseguire i suoi sogni, le sue pulsioni, dovendo fare i conti con la necessità, l'esigenza di autosostenersi: "Ho fatto anche fotoromanzi, mi presero all'accademia e io mi dovevo mantenere con la casa e con il cibo, facevo il cameriere per 50mila Lire a sera e quindi quando mi chiamavano per i fotoromanzi io facevo i salti mortali, mi davano 500mila Lire ogni volta e non facevo niente. Era una manna dal cielo, era molto semplice: dovevo mantenermi. È un ricordo bellissimo, c'era tanta gioia di vivere, questa fanciullezza inconscia che andava contro il suo destino e non si arrendeva mai. Qualsiasi lavoro tu faccia, se lo fai con onestà non c'è nessun problema. Basta farlo correttamente e onestamente". 

Il momento dell'illuminazione

Il momento dell'illuminazione, quello in cui capisce di voler fare il suo mestiere arriva all'improvviso: "Sono diventato attore per caso. Passo da Roma dopo aver fatto anche l'animatore e di ritorno da una stagione verso Sarnico, mi fermo lì da un amico che mi porta al Sistina a vedere uno spettacolo teatrale, "La Gatta Cenerentola" di Roberto De Simone, la prima versione con Barra e Danieli. Mi piaceva già nei villaggi, pur essendo leggero, mi piacevano le prove, che odiavano tutti […] Dopo grandi sacrifici mi prendono in Accademia e poi comincia tutto". La strada è costellata di difficoltà, prove complicate, fino a quando a inizio anni Duemila non arriva l'occasione vera, quella che gli cambia la vita, ovvero l'incontro con Marco Tullio Giordana:

Prima de "La Meglio Gioventù" era tutto un provino in cui in cinque minuti devi dare tutto, spesso venendo sottovalutato. Dopo ti chiamano tutti, ti chiedono se ti vada di fare una cosa o meno. È normale, funziona così e lo auguro a tutti i miei colleghi.

Infine Boni confessa a Silvia Toffanin di un momento in cui ha preso una decisione che gli ha cambiato la carriera. Aveva su per giù vent'anni quando partecipò a un provino per un ruolo che un produttore descrisse come quello che avrebbe lanciato una nuova star internazionale. Venne preso, per poi rendersi conto che il produttore in questione aveva altri interessi, che gli palesò con delle avance: "Appena lo capii gli dissi subito di no. Basta scegliere nella vita, avrei potuto scegliere di restare e dissi no. Ringraziai per quel suo gesto, ma dissi che non mi interessava. Qualunque cosa deve essere per amore, non mi interessa etero o omo, ma deve essere per amore, non per interesse, lavoro o altro".  

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