We are who we are, Guadagnino ci prende a schiaffi con la realtà
Se è vero che sono in pochi a dare ascolto ai giovani, c'è chi sa raccontarli. Con We are who we are, nuova e prima serie di Luca Guadagnino in onda dal 9 ottobre su Sky Atlantic e disponibile su Now Tv, il regista italiano risponde ad un'esigenza che sembra appartenere al tempo che stiamo vivendo: intercettare le istanze, le emozioni, i pensieri di quelle nuove generazioni che con una sola frase sono in grado di mettere in discussione l'ordine costituito, le nostre certezze.
Il racconto di We are who we are è un tutt'uno col messaggio del titolo: siamo quello che siamo. Protagonisti sono due ragazzi americani catapultati con le famiglie in una base militare in Veneto nel 2016, quando Trump presidente è ancora una fantasiosa ipotesi ma il Make America great again riverbera già come un motto accattivante e persuasivo. Un micromondo alienante, sempre uguale in ogni posto del mondo in cui siano stati costretti a trasferirsi, che li spersonalizza, impedisce loro di mettere radici. Fraser (Jack Dylan Grazer) arriva da New York insieme a sua madre, nuova figura apicale della base militare, e la sua compagna, che pur non avendolo messo al mondo sa capirlo nella sua estrosità. Caitlin (Jordan Kristine Seamón) è invece figlia di una famiglia di origini afroamericane con una madre nostalgica della vita stabile opposta a quella nomade e il padre persuaso dal crescente clima trumpista. Non sanno chi sono, Fraser e Caitlin, entrambi segnati da un rapporto incerto con la propria identità, ambiguo con la sessualità, si ritrovano piombati in una complicità inaspettata che diventa un rifugio, una loro certezza.
Fraser e Caitlin sono ‘fluidi'
Guadagnino si sofferma con tenerezza sulla loro scoperta della vita e inventa un legame inedito, una relazione che rifugge dalla forma di un amore convenzionale verso il quale ci aspetteremmo si orientasse una storia di ragazzi alle prese con il disagio di stare al mondo. Relazione convenzionale che sarebbe impossibile, visto che Fraser e Caitlin sono "fluidi", dai non espliciti orientamenti sessuali, con l'impulso di volersi liberare dalla schiavitù di un'idea binaria, di una definizione statica. È questa la vera provocazione di Luca Guadagnino (e dei i co-sceneggiatori Sean Conway, Francesca Manieri e Paolo Giordano), che lascia a tratti senza parole, perché la trattazione di questo tema si smarca da un approccio bidirezionale su eterosessualità e omosessualità. Ci prende a schiaffi con la realtà, quella che spesso non capiamo e fingiamo non esista perché conviene così.
La colonna sonora di We are who we are
Luca Guadagnino osserva, il suo occhio (la camera) entra nelle stanze in punta di piedi, peregrina tra gli isolati della base militare in maniera solo apparentemente vaga, ma sapendo benissimo quali conversazioni andare a spiare. E si limita a esplorare senza apparente pregiudizio la storia di adolescenti che indagano dentro se stessi in cerca di coordinate. Ci sono grazia e tenerezza, in questo sguardo indiscreto che mostra Caitlin alle prese con le sue prime mestruazioni, incontrate inaspettatamente su una spiaggia della piccola cittadina di Chioggia, propaggine della laguna veneta. C'è grande delicatezza nello scrutare il movimento di attrazione e repulsione di Fraser verso i suoi simili, che cerca ma trova al contempo un ributtante concentrato di conformismo. C'è sapienza nella colonna sonora. Siamo in Italia e quindi ci sono Elisa, Raf, Calcutta, Anna Oxa, ma non siamo solo in Italia e c'è tutto il resto, da Devon Hynes a Giorgio Moroder, passando per John Adams e Ryuichi Sakamoto. Tutto a supporto di una veduta sugli avvenimenti in cui ogni movimento di camera sembra avere un significato preciso.
America, Italia, ovunque
La location italiana è infine fondamentale per la riuscita di We are who we are. La "doppia nazionalità" di Luca Guadagnino, italiano trapiantato in America, permette al regista di avere un punto di vista ambivalente, neutrale, che disinnesca il pericolo dei luoghi comuni da ambo i lati, così come quello delle visioni pittoresche e oleografiche, insomma artefatte. Un elemento in stretta connessione con l'impianto narrativo di questa serie, che sembra dirci una cosa chiara: siamo ciò che siamo, non importa da dove veniamo.