The Walking Dead 4×09 “Smarriti”: la recensione
Vediamo un carroarmato dall'alto, preso d'assalto da così tanti zombie che, in lontananza, quasi sembrano formiche. Una scena di devastazione che, in fondo, è poesia pura nella citazione di quella magnifica prima stagione. Bastano poche sequenze per tornare duramente alla realtà, con la prigione e quel che resta, devastazione e fiamme, la morte è ormai ovunque. La guerra ha mietuto le sue vittime eccellenti. Il Governatore, che tutto questo lo ha voluto e lo ha causato, è faccia al cielo con un buco in testa, garantendosi forse un privilegio che non meritava, quello della morte certa. Mentre è dolore su dolore vedere la testa mozzata di Hershel animata dal desiderio di addentare carne umana. Arriva Michonne, la katana è sguinata, zac, addio Hershel, questa volta per sempre.
Così è ripartito The Walking Dead, signori. Ve ne eravate accorti? Si, forse "Smarriti" è un episodio troppo tranquillo per lasciare il segno, ma resta tutto sommato un buon primo da "midseason" ed ecco perché. E' stato scritto direttamente da Robert Kirkman, si lascia apprezzare soprattutto per la massiccia presenza di inquadrature che sembrano prese dai suoi storyboard. Si, perché "Smarriti" è preciso a "Padre e figlio" (albo mensile numero 13 del fumetto edito in Italia da SaldaPress), indaga il rapporto tra Rick e Carl, le nuove misure che gli eventi hanno imposto già da tempo ai due, che vengono finalmente palesate, fissate ed ufficializzate.
Siete mai stati dei bambini in un Apocalisse? No, che domande. Dunque provate ad immaginare cosa ci potrebbe essere nella testa di Carl, costretto a crescere mentre i "non morti" ti distruggono quello che c'è intorno, lui che gli zombie li aveva visti solo nella saga di Resident Evil. Ecco perché, che meraviglia di scena, quando si imbatte in una console con tanto di televisore gigante e titoli a gogo, lui dopo un attimo di esitazione scaraventa tutto giù e bada al sodo tirando via i cavi, utili per mettere la nuova casa in sicurezza (i nodi stretti sono un vecchio trucchetto che gli ha insegnato Shane, remember?). Nell'avere finalmente spazio per rivendicare la sua responsabilità e la sua capacità di poter badare a se stesso e agli altri, auspicando di far meglio di quanto abbia fatto suo padre, cade nel classico delirio di onnipotenza rinnegando Rick ad alta voce, mentre questi però è privo di sensi. Prendendo alla leggera la minaccia dei "non morti", per due volte rischia la pelle, per due volte riesce a salvarsi. Predestinato.
Chandler Riggs sta maturando tantissimo come attore, peccato che sia supportato malissimo dal doppiaggio italiano, questo bisogna sottolinearlo. Un bravo a Robert Kirkman e a Scott M. Gimple che stanno riuscendo a confezionargli addosso un personaggio importantissimo, che se le cose alla Amc continuano in questo modo, potrebbe avere le chiavi del futuro della serie.
Michonne è l'altra protagonista di puntata. Con lei ritorna l'uso del flashback che latitava dalla prima stagione. In questo caso è a metà tra ricordo ed un incubo, lo capiamo praticamente subito quando vediamo la guerrigliera preparare la cena con la katana. Il percorso di Michonne è più duro di quello intrapreso da Carl, perché è costretta ancora una volta a guardare al suo passato, sin da quando deve prepararsi ancora una volta due zombie "da viaggio", per camminare indisturbata mimetizzandosi nel gregge. Scopriamo dal suo incubo che nella vita prima dell'Apocalisse era una mamma felice e che, molto probabilmente, ha perso i suoi affetti mentre tentavano di raggiungere un accampamento. In questo nuovo inizio per la serie, la "signora delle lame" sembra avere le carte in regola per conquistare sempre di più i galloni da co-protagonista. Lecito chiedersi se questa responsabilità e questa presenza crescente rimpiazzerà una perdita futura (Daryl? Glenn?), oppure no.
Il nuovo corso di The Walking Dead ci piace, anche se alcune dinamiche sarebbe opportuno svilupparle in puntate dal formato un po' più consistente. Troppo pochi 45 minuti per chiudere i conti e svelare la strada di personalità così complesse. Non siamo ad Albuquerque. No, purtroppo.