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Servizio Pubblico, Sgarbi e i suoi conati di monito

Ultima puntata di Servizio Pubblico, si cercano vie per proseguire. Vittorio Sgarbi, con proverbiale irriverenza, indica in poche parole quale potrebbe essere il loro destino: non temere la politica, ma farne in senso costruttivo. Che non significa, necessariamente, fondare un partito.
A cura di Andrea Parrella
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La maestra assegna i compiti da fare a casa destinati ad essere controllati a settembre. Impone rigore, attenzione, predica il buon senso nell'invito a svolgerli in maniera scandagliata, non tutti assieme, così che abbiano un senso. L'aria resta di festa, la scuola è finita, tiriamo le somme di quel che abbiamo fatto, che porta molto meno fatica di fare. Ecco quello che è accaduto ieri a Servizio Pubblico, dove si è azzardata una discussione su se stessi e simili per capire quale potrebbe essere il percorso da seguire in futuro, per non rendere vano lo sforzo a metà compiuto quest'anno. Non si sono visti molti propositi: poco prima di Servizio Pubblico, su Raiuno, Max Giusti ringraziava i telespettatori dicendo quasi chiaramente che non sarebbe tornato alla conduzione, ma senza dirlo, elogiando Affari tuoi. Giusto per preservare una suspance della quale non si ha necessità. E cosa simile si è percepita negli occhi di Michele Santoro, che ha provveduto a riepilogare i successi dell'idea coraggiosa. Come sempre onestamente fa ne ha citato i difetti, l'incompiutezza parziale, però non è venuto fuori nulla che riguardasse un'idea concreta per il futuro.

Servizio Pubblico non può continuare con la stessa forma, non è concepibile come blocco unico di questa ventata da cui è stato generato. Lo sanno tutti gli artefici, ma forse non lo ammettono (giustamente) perché non hanno ancora idee concrete per il prosieguo. Vittorio Sgarbi, con il monito documentato dal video di apertura, li ha egregiamente incitati a non sentire il peso dell'aggettivo politico, perché è inevitabile e più che giusto che quest'aggettivo venga attribuito al progetto. Se lo cercano. Servizio Pubblico può andare avanti se si amplia il servizio, se si mette Santoro, sull'orlo di una stanchezza cronica, alla prova che reclama da anni, cioè fare altro. Le vicende governative dell'ultimo anno tolgono forza d'urto a questo esperimento perché eliminano il simbolo cui fare da contraltare. E allora il destino di Servizio Pubblico si lega inesorabilmente a quello del giornale che più contribuisce a tenerlo in piedi: il Fatto Quotidiano.

E' di ieri la notizia dell'addio al Fatto di Luca Telese, uno dei pionieri che lo creò, che annuncia la fondazione di un nuovo giornale a settembre. Tra i motivi c'è la divergenza contro il ruolo ostinatamente distruttivo che il giornale diretto da Padellaro si è imposto dopo la caduta di Berlusconi: nessun cambio di rotta in senso costruttivo. Ora, i timori di Servizio Pubblico e del Fatto di divenire un partito, di cadere nella trappola di perorare la propria causa e non più la causa della costituzione (unico mantra per Travaglio&co.), di vedere dietro l'angolo il pericolo della parabola che sta seguendo il giornale la Repubblica; ebbene sono tutti timori giustificati, gli fa onore guardarsi bene dal degenerare, ma è altrettanto vero che una via di mezzo c'è ed occorre perseguirla.

Servizio Pubblico, così come il Fatto, non deve fare politica direttamente, ma è incaricata del dovere di contribuire a generarne, farlo attraverso progetti differenziati e più ampi che, nel caso specifico del programma di Santoro, non possono di certo fermarsi ad una prima serata a settimana. Che non abbiano paura, perché averne significherebbe probabilmente perire.

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