Romulus, il regista Matteo Rovere: “Non è Il Trono di Spade italiano”
Cosa sappiamo veramente, noi, della nascita di Roma? La storia di Romolo e Remo è nota a tutti, così come quella della lupa che, per ragioni anche e soprattutto sportive, è ancora oggi simbolo della capitale. Eppure tutto ciò che si cela dietro la leggenda della fondazione di Roma, e soprattutto prima di essa, è materia oscura. C'è una serie Tv che ha provato a immaginare gli eventi che portarono alla nascita della città eterna, stiamo parlando di Romulus, al via su Sky Atlantic da venerdì 6 novembre. La sigla cantata da Elisa e le musiche dei Mokadelik scandiscono ogni episodio di questo progetto ambizioso, a metà strada tra l'epica e il peplum, tutto recitato in una lingua idi fatto inventata (tranquilli, c'è anche l'audio in italiano), con ricostruzioni ambientali reali, veri villaggi creati da zero, scene girate nelle location più impervie, senza scenari fantastici e abuso di tecnologia. Il fascino di Romulus sta anche in questo, l'enorme macchina che ha portato alla creazione di un prodotto che, almeno in Italia, non ha precedenti. La mente dietro a tutto questo è quella di Matteo Rovere, produttore e regista (a dirigere alcuni episodi ci sono Michele Alhaique ed Enrico Maria Artale) che ce ne ha raccontato la genesi.
Questa serie sembra un grande gioco di equilibri tra il rispetto delle poche fonti storiche e l'audacia di immaginare un mondo che, di fatto, non conosciamo. Quale delle due cose ha prevalso?
Con la serie raccontiamo un mondo, quello dell'VIII secolo a.C., che secondo noi somiglia a quello generato dal mito della fondazione di Roma, con i suoi movimenti umani e politici. Per noi è stato un'arena di intrattenimento e divertimento nella quale abbiamo fatto lavorare linguisti, storici e archeologi per mettere in scena qualcosa di molto realistico e filologico. Al fianco di questo grande lavoro c'è poi un percorso di ricostruzione ipotetica e di fantasia, di fronte a un mondo che non conosciamo, lontano nel tempo.
Quindi la vostra immaginazione si è mossa in un perimetro tracciato dalle fonti storiche. Quali sono state?
Abbiamo avuto consulenti come Paolo Carafa, tra i più importanti archeologi del Palatino, o Valentino Nizzo, direttore del museo di Valle Giulia, che hanno una grandissima esperienza nei manufatti, nella realtà plastica di quel periodo, dalle capanne, la struttura delle città, le armi. Romulus è frutto della volontà di creare un rapporto biunivoco e continuativo con la fondazione di Roma, ma allo stesso tempo abbiamo costruito personaggi che da quel mito derivano e che abbiamo fatto muovere seguendo le nostre volontà e mettendoci tanto racconto e tante impressioni.
E se chi guarda credesse che è tutto vero e realmente accaduto?
Secondo me lo spettatore deve essere liberissimo di vivere il testo come vuole. Non possiamo dire né che sia accaduto né il contrario, non si tratta di una storia vera, ma il racconto è ispirato a un sistema narrativo tipico, con elementi caratterizzanti di quel tempo storico a cominciare dal mito della fondazione di Roma, per grandi linee noto a tutti. Ecco, io credo che ricercarne i protagonisti in questa storia, chiedersi chi sia chi, dove sia la Lupa, èrappresenti un'azione tridimensionale di ricostruzione che lo spettatore deve fare per godersi a pieno la serie.
In Romulus vediamo abbracci, scene di sesso, comportamenti in cui il linguaggio del corpo di personaggi di quasi 3000 anni fa sembra maledettamente simile al nostro. Sono aspetti su cui avete lavorato?
Gli antropologi che abbiamo consultato ci hanno aiutato a capire come nel tempo possa essersi evoluta la gestualità, come interagissero tra loro, in che modo si baciavano, che tipi di rapporti interpersonali e dialoghi potessero avere gli uomini al tempo. Ci sono tutta una serie di segnali del corpo molto diversi da quelli attuali, ma c'è stata anche la volontà di immaginare i nostri personaggi in una chiave molto moderna. Yemos (Andrea Arcangeli), Ilia (Marianna Pastore) e Wiros (Francesco Di Napoli), i tre protagonisti, devono essere personaggi che risuonano sul contemporaneo, perché stanno combattendo una battaglia di libertà ed emancipazione che deve appartenere anche all'oggi. Poi hanno anche quell'insicurezza che li caratterizza rispetto al mondo esterno, peraltro legata anche al periodo che stiamo vivendo.
Il paragone tra Romulus e Il Trono di Spade è stato scomodato e mi tocca chiederti cosa ne pensi.
Io sono un grande fan di Game of Thrones ed è un paragone che non mi offende minimamente. Detto questo sono molto diversi, anche se finalmente riusciamo a fare in Italia una serie ambientata in un mondo arcaico, in costume, complessa e con elementi di racconto assolutamente peculiari che vuole avere quell'apertura sulle giovani generazioni, si rivolge al pubblico femminile. La differenza importante che c'è con le serie anglosassoni è che questo è un racconto tutto realizzato e ambientato nella realtà, nella natura, con la ricostruzione dei villaggi. L'impatto sullo spettatore in questo senso è completamente nuovo.
Da produttore fai un discorso di pubblico, del destinatario ideale della serie. Non mi è ancora chiaro, ad esempio, se Romulus nasca per aprire uno spazio nei gusti del pubblico, o per andare a riempirne uno già aperto.
Direi che apre uno spazio che non c'è, visto che nel nostro paese prodotti di questo tipo non vengono ancora realizzati. Diciamo che è l'inizio di un percorso ma io credo che ci sia il bisogno di prodotti ambiziosi, di respiro ampio. Romulus è concepita per rivolgersi a quel pubblico nazionale che desidera vedere una serie finalmente nostra con questo tipo di ambizione e un contesto europeo, internazionale, che speriamo sia pronto a ricevere questo stimolo. I primi segnali che arrivano dalla distribuzione all'estero sono molto incoraggianti.
In Romulus ci ritroviamo Vanessa Scalera, alias Imma Tataranni, che parla in protolatino. Che effetto ti immagini sullo spettatore più tradizionale?
Non me lo sono immaginato durante le riprese, ma ora che mi ci fai pensare sono molto curioso di sapere quale sarà.
Tra gli aspetti più intriganti c'è quello linguistico. I personaggi di Romulus parlano questo idioma ricostruito insieme a linguiste che hanno collaborato alla serie. Non temi che la complessità possa non essere capita?
Io credo la cosa sia molto più semplice perché la serie in Italia esce con doppio audio e quindi si potrà guardare tranquillamente in italiano. Per chi preferisse avere un contenuto premium, unico, c'è la possibilità di vederla in protolatino, un'esperienza diversa per capire ancora meglio l'immane lavoro degli attori. Si tratta di una modalità di fare spettacolo destinata, magari, a nuove generazioni già abituate a vedere serie in lingua originale con i sottotitoli. Qui troveranno lo stimolo in più di una lingua straordinariamente ricostruita dalle professoresse Gianfranca Privitera e Daniela Zanarini, che hanno creato un mondo di sistemi di comunicazione in grado di trasportarci ancora di più in un mondo arcaico.
Quanto al doppiaggio in italiano, ritroveremo le voci degli attori in scena?
No, nessuno si è auto doppiato. Abbiamo fatto un lavoro molto preciso, che ho curato personalmente nel corso dell'estate, andando a cercare doppiatori con voci adatte, con l'aiuto degli attori stessi.
Una decisione atipica, che rispetta le diverse professionalità. Tempo fa il tema era stato sollevato anche da Alessandro Borghi, che aveva chiarito il perché della scelta di farsi doppiare per Diavoli, dove recitava in inglese.
E sono d'accordo. La mia scelta artistica è stata quella di lavorare alla serie esattamente come se si trattasse di un prodotto straniero, per cui abbiamo fatto un lungo lavoro di casting per cercare i doppiatori che fossero più in linea con le voci degli interpreti.
A differenza de Il Primo Re – lo chiariamo, è una storia completamente diversa da Romulus – questa serie si basa su un cast corale. Un interprete centrale e di riferimento non avrebbe agevolato la distribuzione?
La serie nasce proprio così e non ha al centro una star unica. Ci sono tantissimi attori che speriamo entrino nel cuore dello spettatore e credo sia anche il dovere di questo genere di prodotti portare al centro della scena interpreti meno famosi ma che, dal mio punto di vista, sapranno farsi valere.
Sei tra quei registi che fanno spesso un passo di lato per dare risalto a maestranze e tecnici, indispensabili soprattutto per un lavoro come questo.
Io vedo il nostro lavoro come qualcosa di corale, un insieme di singoli strumenti di una grande orchestra. Molto spesso siamo abituati ad autori che mettono se stessi al centro, ma io credo che prodotti come questo in particolare si nutrano della collaborazione di tantissimi talenti diversi. Parlare di lavoratrici e lavoratori è sacrosanto e doveroso non tanto per far capire allo spettatore che del lavoro dietro c'è, perché quello c'è anche dietro la costruzione di un'automobile, ma semplicemente per ricordare come anche noi, nel nostro Paese, abbiamo i talenti adatti per fare operazioni come questa.
Romulus è esattamente come te l'eri immaginato?
Sono molto contento del risultato e forse ha anche superato le attese, all'inizio ero spaventato dalle dimensioni dell'operazione. Alla fine credo abbiamo realizzato qualcosa di molto prezioso.
Una seconda stagione di Romulus è già, idealmente, in cantiere?
Sicuramente è una serie adatta a più stagioni, andremo avanti quando avremo la chiave giusta per proseguire. Raccontiamo un mondo che, sia a livello storico che di invenzione, ha tantissima possibilità espansione. D'altronde è una storia il cui racconto continua per definizione, arrivando fino ad oggi.
Parlando di immaginazione, pensi di esplorare altri mondi?
Mi piacerebbe molto farlo e per il futuro ho progetti di altro tipo. Mi affascina molto l'universalità di questo genere che è in grado di creare un linguaggio universale per cui una serie come Romulus può essere vista, compresa e non compresa, a Napoli come a Milano, a Tokyo come a Rio De Janeiro. Questo è un elemento che i codici del genere permettono al di là dell'aspetto strettamente linguistico.