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Rapiti da Lost in Google e felici di esserlo

La serie web di origini totalmente partenopee ha creato una febbre virale sul web capace di attirare centinaia di persone all’anteprima dell’ultimo episodio. Augurandoci che la strada maestra resti la partecipazione degli utenti, ai The Jackal vanno riconosciuti grossi meriti.
A cura di Andrea Parrella
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A confrontarsi con Lost in Google si sa d'avere a che fare con qualcosa i cui contorni siano difficilmente delineabili. Non si può racchiudere in un contesto, né tantomeno una definizione, il che è una rarezza assolutamente relegabile alla sfera dei pregi. Siamo a metà tra il televisivo, Lost in Google ne ruba la serialità, e chiaramente l'altra forma possibile, quella del cinema, di cui pare che gli autori abbiano l'ambizione: l'ambizione a farne. Resta la certezza che il valore aggiunto del loro esperimento è esattamente quello di essersi infilati in uno spazio nuovo, unendo con gran successo mediale non solo fasce eterogenee per impostazione culturale, ma soprattutto per età: ieri sera, alla proiezione dell'ultimo episodio, i dati anagrafici si spalmavano dai sedici ai trent'anni.

Per chi non sapesse di cosa si stia parlando, Lost in Google è una web series, realizzata dai The Jackal, una casa di produzione napoletana, che da qualche mese coinvolge migliaia di utenti per un solo scopo, scriverne il plot tramite i propri commenti. A guardare l'ultima puntata, si è percepita l'obbligatorietà di questo ultimo episodio (forse pure la necessità dell'evento), un po' di fretta a terminare, l'effetto che spesso fanno le serie Tv tendenti alla conclusione: ci si aspetterebbe dagli esiti sempre qualcosa in più, ma negli esiti non si troverà mai la curiosità dell'attesa, che rende grandi le fasi intermedie. Al Lost in Google ending party di ieri, con l'anteprima dell'ultimo episodio, qualunque elemento avrebbe accontentato e scontentato al contempo, e questo solo perché finiva.

Il fatto assolutamente rivoluzionario resta il percorso di scrittura. Se mai dovesse diventare il marchio di fabbrica della casa produttrice, potrebbe rivelarsi qualcosa di avvenirstico che non si sa bene dove possa portare, ma che è senza dubbio un campo d'esplorazione di enorme vastità. Chiedere a chi vede di immaginarsi dove i propri occhi dovrebbero spostarsi richiede un'opera certosina e dei tempi lunghissimi, se non altro perché la mole di lavoro è proporzionale al seguito che ti ritrovi. Bisogna capire se i The Jackal abbiano intenzione di ritenere questa impostazione come un semplice esercizio di stile oppure, appunto, far sì che questa forma cresca, si sviluppi e si evolva. Da spettatore, viste le possibilità infinite che potrebbero derivarne, mi auguro seriamente che non si prenda gioco di loro la paura di ripetersi. Il narcisismo è l'unico pericolo che potrebbe minarne il cammino.

Anche i lavori antecedenti a Lost in Google rivelano delle abilità tecniche ammirevoli e una sorprendente capacità di sintesi che a modo suo ha raccontato, della nostra realtà locale, momenti e fatti apparentemente inenarrabili: vedi, su tutti, The washer. Per chiudere, l'elogio è tutto per la casa produttrice, che si propone di andare oltre, vestendo i panni di una vera e propria factory che coaguli talenti ed idee. I presupposti ed i primi risultati sono di assoluto valore. Si respira, nelle loro produzioni, l'aria di un gruppo d'amici che riesce a supportare delle sfide di una certa portata. E permane, in virtù della professionalità e della cura dei dettagli, l'idea che utilizzare attori non professionisti come protagonisti sia assolutamente una scelta, oltre che stilistica, anche di squadra, anziché un'elementare esigenza di budget, visto che i protagonisti stessi sono membri originari del gruppo. E' un aspetto che, a modo suo, avvicina il pubblico ancora di più.

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