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Rai, carta, forbice o sasso

Il gioco di ruolo è l’inarrestabile pratica di gestione che i partiti applicano sull’azienda pubblica televisiva. La lotta è intestina e nessuno è disposto a mollare, al costo di palesi esagerazioni. E’ di dominio pubblico che la Rai non sia una cosa pubblica.
A cura di Andrea Parrella
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Il gioco delle pedine prosegue. Io tolgo a te e tu t'offendi, così pure tu togli un po' a me e io me la prendo. Nel frattempo quell'altro decide senza consultarmi, allora sia io che tu palesiamo disappunto per non essere stati interpellati assolutamente nella cosa. La gestione della Rai continua ad essere una questione esclusivamente appannaggio di pochi bambini capricciosi, metaforicamente impegnati a spartirsi (amministrare), con tanto di pantaloni alla zuavo, qualcosa che non si sa come sia loro finita tra le mani, se se la siano presa, oppure se gliel'abbiamo lasciata noi. Ieri pomeriggio, dopo l'azzardo di Monti di qualche settimana fa di decidere autonomamente quali dovessero essere i nomi dei prossimi presidente e direttore generale Rai, si è manifestato un impasse che blocca l'attività aziendale.

I nuovi nomi, seppur assegnati d'ufficio, non sussistono senza il sostegno di un consiglio d'amministrazione. Quest'ultimo è stato ieri disertato dai commissari di Pdl e Lega, inviperiti per la decisione di Monti a non consultarli. C'è indecisione nel capire se appaia più fastidiosa l'uscita di Monti nelle nomine, che si rifiutò assolutamente di prendere in considerazione le centinaia di curricula pervenuti, oppure se prevalga su questa l'indisponente capriccio che i partiti fanno nel volersi tenere le proprie fette di servizio pubblico: se le giocheranno a morra cinese.

Non si ritenga esente il Pd, che ama prodigarsi  nello stucchevole tentativo di essere autoritario senza darlo a vedere. La settimana scorsa ebbe il coraggio di proporre, in contraddizione alle nomine arroganti e incondizionate di Monti, due belle nomine identiche, senza consultazione alcuna, che comunque non rientravano nei famosi curricula presentati alla Rai: Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi. Ci pensò rapidamente Antonio Di Pietro, che prova ogni giorno a svestirsi dei panni del politico (e il solo tentativo gli fa onore), a dire che questi ipotetici nomi, per quanto derivanti dalla società civile e di sicuro valore, venivano proposti in una logica esattamente identica a quelli proposti dal governo.

E' stato persino indulgente non rincarando la dose col dire che il Pd, come spesso fa nei suoi atti, tenta di dipingere democraticamente atti assolutamente privi del minimo presupposto democratico. Che quindi, formalmente, è pure peggio di essere dittatori e basta.  A quel punto, si preferisce quasi l'autorità spiattellata in faccia, senza omissioni. La si preferisce per sincerità e perché ti fa subito capire cosa si debba evitare. Ma in fondo si prova una certa compassione per i partiti. Ci si chiede come potrebbero sfogare i propri istinti autoritari se, da domani, la Rai divenisse di dominio pubblico, aperta a tutti, aperta a chi si merita di lavorarci dentro per merito acquisito e non per mero partito. Sarebbe un disastro.

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