Pippo Baudo: “Accettai la direzione artistica di Mediaset, ma fui un cretino”
Pippo Baudo è la Storia della televisione italiana. È una frase che abbiamo letto e ascoltato tante di quelle volte che ormai è diventata una frase a cui facciamo poco caso. Ma la Storia ha sempre qualcosa di nuovo da raccontare, o qualcosa di vecchio da raccontare da un punto di vista diverso. E ha gli aneddoti. Tutte queste cose le ha snocciolate da un altro che di Storia della televisione se ne intende: Piero Chiambretti. Al suo ‘Grand Hotel Chiambretti', infatti, venerdì 22 andrà in onda un'intervista con Baudo di cui abbiamo già appreso i contenuti e, come sempre, di materiale per discuterne ce n'è non poco: dalla televisione, che ha dato visibilità e carriera ai due, allo stragismo.
Pippo Baudo, infatti, torna a ripercorrere i decenni passati e lo fa con un aneddoto che spiega forse ancora di più il suo amore per la Rai. Ricorda quando fu chiamato – era il 1987 – da Mediaset per coprire il prestigioso ruolo di direttore artistico. Un ruolo, che dirà, non fu ben accetto da tutti, soprattutto da quelli che erano i protagonisti della rete:
Ero stato assunto con un contratto che mi dava la qualifica di direttore artistico e la cosa non fu gradita a nessuno: da Ricci, a Costanzo, fino a Corrado. Mi appoggiarono soltanto Raimondo e Sandra e Mike Buongiorno con il quale ebbi un bellissimo colloquio. Come ho potuto pensare che questi colossi di Mediaset si mettessero sotto la mia direzione artistica? Oggi posso dire di essere stato un cretino, un cretino di talento, ma un cretino.
Tra un riferimento al Presidente siciliano Crocetta e uno a "Uno su cento", storico programma condotto dal presentatore siciliano, Baudo ha trovato la voglia e il tempo di ripercorrere anche gli anni in cui fu vittima di un attentato mafioso. Baudo, infatti, si era scagliato violentemente contro la mafia durante una puntata del Maurizio Costanzo Show del 1991, ma anche durante una celebrazione del giudice Chinnici, ucciso nel 1983, a Taormina e quella bomba fu il modo che la mafia trovò per cercare di metterlo a tacere. Ma il presentatore non lo permise e ricostruì la villa, come monito ai mafiosi, benché poi non ci tornò molto spesso, arrivando in futuro a venderla. Il conduttore ha spiegato così quell'attentato:
Si trattò di un regolamento di conti mafioso nei miei confronti. Avevo fatto una celebrazione del giudice Chinnici a Taormina parlando male della mafia e ci fu questa vendetta. Mi costò cara questa cosa.