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“Per amore del mio popolo non tacerò”: la vera storia di Don Peppe Diana, ucciso dalla camorra

Il film di Rai1 “Per amore del mio popolo – Don Diana”, con Alessandro Preziosi, è un omaggio alla figura di Don Peppe Diana. Il sacerdote di Casal Di Principe ha lottato con coraggio contro la camorra, per salvare la sua terra da quel cancro e per risvegliare le coscienze di chi si era ormai assuefatto al dominio della malavita organizzata.
A cura di Daniela Seclì
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A sinistra Don Peppe Diana, a destra Alessandro Preziosi nel ruolo del sacerdote
A sinistra Don Peppe Diana, a destra Alessandro Preziosi nel ruolo del sacerdote

Domenica 23 maggio, Rai1 riproporrà "Per amore del mio popolo – Don Diana". La miniserie diretta da Antonio Frazzi con Alessandro Preziosi, rende omaggio alla figura di Don Peppe Diana, il sacerdote di Casal Di Principe, che non ebbe paura di sfidare la camorra. Morì martire per amore della sua terra e per strappare i giovani ai tentacoli della criminalità. Vediamo le tappe salienti della vita di Don Peppe Diana.

Parroco della chiesa di San Nicola a Casal Di Principe

Giuseppe Diana nacque nel 1958 a Casal di Principe. La madre Iolanda Di Tella, in un documentario realizzato da RaiStoria, lo descriveva come "un ragazzo spensierato, vivace e studioso, che ha passato la vita in seminario" dove era entrato nel 1968. In realtà ci fu un breve momento di crisi nella vita di Giuseppe, durante il quale confidò alla madre la volontà di iscriversi a Ingegneria e fare esperienza della vita fuori dalle mura del seminario: "Fatemi vedere com'è la vita fuori, io non ci sono stato mai". Poco dopo, però, decise di tornare sui suoi passi. La vocazione e il desiderio di mettere in pratica valori per lui fondamentali come la giustizia e la carità avevano vinto. Nel 1982 fu ordinato sacerdote e il 19 settembre 1989 diventò parroco della chiesa di San Nicola a Casal Di Principe.

La missione di strappare i giovani alla criminalità

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A Casal di Principe, la camorra lasciava dietro di sé una scia di sangue e terrore. Tra le vittime, non mancavano ragazzi appena ventenni, finiti esanimi sull'asfalto talvolta solo per uno scambio di persona. Don Peppe capì subito che non poteva restare a guardare. Si impegnò immediatamente in azioni concrete per provare a salvare la sua terra da quel cancro e per risvegliare le coscienze di chi si era ormai assuefatto al dominio della malavita organizzata. Incontrò i ragazzi nelle scuole, stampò volantini su cui campeggiava la scritta: "Basta con la paura, basta con la dittatura armata della camorra" e si rifiutò di dare i sacramenti ai camorristi. Strappava i giovani alla strada organizzando attività per loro. E lasciava sempre un segno nelle giovani anime che tentava di proteggere. "Cercava di farci avere un futuro migliore", "Ci parlava sempre di lottare contro la mafia", "Ci aiutava a risolvere qualunque problema": dicevano di lui.

Le parole di Don Peppe Diana contro la camorra

A Natale del 1991, Don Peppe Diana scrisse e firmò con un gruppo di sacerdoti, un importante documento intitolato "Per amore del mio popolo", che oggi è ritenuto il suo testamento. Il sacerdote espresse la sua preoccupazione per il dolore delle famiglie che vedevano i figli finire nelle mani della camorra. Sentiva di avere il dovere di educare i giovani a tenersi alla larga dai compromessi. Quindi denunciò il modo in cui la camorra era riuscita a imporsi:

"La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana. I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l'imprenditore più temerario; traffici illeciti per l'acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato".

Nel documento, inoltre, si faceva riferimento all'assenza dello Stato che aveva agevolato l'infiltrazione della camorra, con la sua inefficienza e l'incapacità di tutelare gli interessi dei cittadini: "È oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l'infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. La camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi. La camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale, privo però di burocrazia e d'intermediari che sono la piaga dello Stato legale". Auspicava, infine, una Chiesa in grado di attuare un'opera concreta al fine di produrre coscienze devote alla "giustizia, alla solidarietà, ai valori etici e civili".

Don Peppe Diana è stato assassinato il 19 marzo 1994

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Il 19 marzo 1994, nel giorno del suo onomastico, Don Peppe Diana si era recato nella chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe per celebrare la messa del mattino. Erano le 07:20 quando un uomo entrò in chiesa e domandò ad una signora anziana intenta a pregare: "Chi è Don Peppe?". Lo raggiunse nella sagrestia e lo uccise sparandogli cinque colpi al viso, alla testa, al collo e alla mano. Il silenzio delle strade deserte di Casal di Principe venne squarciato dall'urlo di mamma Iolanda, che si vedeva strappare via quel figlio di 36 anni che aveva tanto lottato per dare speranza, libertà e un futuro alla sua gente. Al funerale parteciparono oltre 20 mila persone e lenzuola bianche sventolarono dai balconi in segno di rispetto e protesta. Le indagini portarono al più prevedibile dei verdetti. Don Peppe era stato ucciso per il suo impegno antimafia. Grazie alla testimonianza del sagrestano e di un fotografo che quella mattina si era recato in chiesa per augurare al sacerdote buon onomastico, i colpevoli vennero assicurati alla giustizia. Il mandante era stato Nunzio De Falco, camorrista appartenente al clan dei casalesi. A sparargli era stato Giuseppe Quadrano, condannato poi a 14 anni di carcere perché collaboratore di Giustizia. Il 4 marzo 2004 la Corte di Cassazione condannò alla pena dell'ergastolo anche Mario Santoro e Francesco Piacenti perché coautori dell'omicidio. Dopo la morte di Don Peppe Diana, in tanti si sono prodigati per tenere viva la sua memoria, continuando il suo operato e impegnandosi in attività concrete di lotta alla camorra.

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