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Incidenti a Ciao Darwin, Genodrome sotto accusa

Paolo Bonolis: “Dirò basta prima di diventare un vecchio della Tv, ci siamo vicini”

Il successo di “Ciao Darwin”, le polemiche sul programma, un eventuale ritorno a Sanremo, “Il Senso della Vita”, i figli e il rapporto coi social. Paolo Bonolis si racconta a Fanpage.it e si sbottona sul suo futuro, che non è detto sia a Mediaset e che di certo non sarà su internet: “Se il prodotto televisivo funziona, non c’è web che tenga”.
A cura di Andrea Parrella
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L'incontro con Paolo Bonolis avviene presso gli studi Elios di Roma, quella fabbrica della televisione dove si registrano i principali programmi di Canale 5, "Ciao Darwin" compreso. Oltre a una distesa di frutta secca sul tavolino davanti a noi, un elemento in particolare colpisce la mia attenzione e mi rende abbastanza chiaro che ci troviamo in un luogo familiare al conduttore: l'umidificatore per termosifoni in ceramica nerazzurro, con tanto di logo dell'Inter. Al momento della nostra conoscenza non sono ancora emersi i casi di infortuni ai concorrenti del programma, durante il gioco del Genodrome, e l'attualità rende obbligatorio un riferimento alla questione, che trovate riassunta qui.

Polemiche a parte, Bonolis, resta il grande successo di questa edizione di "Ciao Darwin", anticipata da quegli spot in smoking tra la ‘monnezza' che sintetizzavano un po' la sua missione televisiva, quella di cercare pepite d'oro tra la melma. 

Questa è essenzialmente la trama dell'ottava edizione di Ciao Darwin, Terre Desolate. Vogliamo rappresentare quella deriva malconcia delle nostre abitudini quotidiane. Come facciamo nella puntata "Nati vecchi contro Finti giovani", in cui confrontiamo tutta una generazione giovane che, ormai abituata a camminare sulle uova, si comporta come se avesse 50 anni, e una generazione di 50enni che si comportano come ne avessero 20. Una discrepanza anagrafica nel comportamento. Ciao Darwin è ed è sempre stato questo, un'occasione per ridere delle nostre incongruenze: morali, sociali, umane.

In uno di quegli spot lei indica a Luca Laurenti una distesa di immondizia, definendola il futuro. Lo vede davvero così nero l'avvenire?

Non la vedo così male, ma vederla peggio, semmai, ti autorizza a muoverti un po' prima.

"Ciao Darwin" vuole educare il pubblico?

No, il programma vuole semmai sottolineare, non siamo migliori né peggiori degli altri. Abbiamo tutti incongruenze e scempiaggini che la trasmissione vuole raccontare, ma sempre col sorriso. Cercavo di farlo a "Bim Bum Bam" e cerco di farlo oggi. Credo che l'imperiosa volontà accademica sia un po' noiosetta, o quantomeno a me non piace come veicolo di pensiero. Preferisco la leggerezza intrisa di qualcosa che può essere una riflessione, un accenno di cultura.

Se le dico che questa ottava edizione ha riconciliato i telespettatori con l'idea di una Canale 5 classica, quella dei fasti degli anni Novanta, è d'accordo?

Ciao Darwin nasce nel '98 ed ha una struttura di racconto che a mio parere è trasversale ad ogni epoca. In 20 anni il programma è cambiato nel linguaggio, ma la spina dorsale resta quella e, probabilmente, per la giocosa magnificenza che propone, porta ad immaginare una televisione come quella degli anni Novanta. Che non era una brutta televisione. I risultati ci dicono che se la televisione è fatta bene, non c'è un'epoca particolare alla quale si adatti. Dipende da cosa racconti, dipende come.

Qualcuno però punta il dito contro gli eccessi, come la sovraesposizione del corpo, soprattutto quello femminile.

Il linguaggio è moderno, continua ad essere cinico in una maniera sempre divertita e non disdegna la bellezza fisica che era tipica dell'avanspettacolo. Nel nostro approccio c'è una volontà di leggerezza che trovo sia tipica di tutte le ere. In quest'epoca, forse, ne abbiamo ancora più bisogno.

Quindi quello della gente che vuole ridere è un adagio che non muore mai?

E perché dovrebbe? Siamo una scoreggia nel tempo, è giusto preoccuparsi di provare a migliorare la situazione, ma per poter lavorare sodo c'è anche bisogno di pause dal lavoro.

Parliamo di futuro: Paolo Bonolis uscirà dalla sua zona di comfort per fare cosa nuove?

Lo farò. Lo farò non quando lo decido io, ma quando quello che vorrei fare sarà consono alle ambizioni dell'azienda con la quale mi interfaccio.

Parliamo del fatto che bisognerà convincere qualcuno?

I miei programmi sono privi di antenati e quando parli con chi deve investire del denaro, in un ambiente che vuole i suoi frutti immediati, come accade in televisione, è difficile far affrontare orizzonti nuovi. Non a caso si lavora spesso su format consolidati. Sulle cose nuove devi convincere qualcuno e non è detto che tu ci riesca.

Mediaset in questo momento è il luogo adatto?

Non c'è un luogo adatto per sperimentare, ci sono delle persone adatte a farlo, quelle che vivono di entusiasmi. Le aziende tendenzialmente non vogliono sperimentare. La Tv è un meccanismo di guadagno consolidato che lavora sulla memoria e sulle certezze. In quasi 40 anni di lavoro ho avuto la fortuna di aver trovato quasi sempre gli interlocutori giusti. Li troverò ancora? Questo non lo so per certo.

Tornerà anche con "Il Senso della Vita", programma con il quale ha alzato l'asticella delle sue ambizioni. Crede di esserci riuscito?

"Il senso della vita" ha certamente funzionato. Quattro stagioni con ascolti spropositati rispetto a quella che era allora la seconda serata. Con quel programma ho provato a soddisfare delle mie curiosità. Mi sono goduto la possibilità di ascoltare chi ne sapesse più di me, anche perché spesso mi capitava di seguire interviste in Tv in cui avevo l'impressione che chi faceva delle domande fosse sostanzialmente indifferente alle risposte. A me invece le risposte interessano e come.

Questa che viviamo è anche l'era degli archivi Tv, delle teche. La telefonata coi fratelli Capone a "Tira e Molla", l'annuncio della liberazione di Giuliana Sgrena e della morte di Calipari a Sanremo, la ‘lite' con Antonio Ricci ad "Affari Tuoi". Quale di questi momenti è il più emblematico della sua carriera?

I fratelli Capone, senza dubbio, per la stessa necessità di leggerezza. La storia di Sanremo nel 2005 è stata una circostanza che ho dovuto assolvere in una serata che prevedeva tutt'altro. La storia con Ricci l'unica volta nella mia carriera in cui l'abbia avuta a male per qualcosa di estremamente sgradevole che accadde. I Capone sono uno dei tanti picchi di assurdità umana vissuti nella mia carriera.

Li ha mai conosciuti? I fratelli Capone, intendo.

No, provammo a rintracciarli, sono stati introvabili. Ma credo che negli anni di fratelli Capone ne abbia incontrati tanti altri.

Cambiamo canale. Se io le dico le parole "swipe up" e "direct", lei sa di cosa parliamo?

No, ma se lo sai tu allora sarai in grado di dirmelo.

Parliamo di Instagram. Dopo una grande resistenza negli anni scorsi, la Tv e i principali volti Tv si sono genuflessi alla logica del web e dei social. Lei invece è un esempio di resistenza. Ha il timore di aprirsi o non gliene può fregare di meno?

La seconda. Sinceramente non mi interessa. Ci vedo più problemi che vantaggi nel web, per una ragione molto semplice: la natura umana distingue con molta difficoltà l'uso dall'abuso. E se diventa un abuso, uno smartphone è un vampiro, che ti succhia attenzione per la realtà. La virtualità diventa la realtà delle nuove generazioni e nel momento in cui ti ci perdi dentro, la realtà se ne va a ramengo. Ma nella realtà noi ci viviamo, nella virtualità ci facciamo il bidet.

E i suoi figli cosa ne pensano?

Naturalmente i miei figli sono nativi digitali, non posso negar loro gli orizzonti tecnologici, però cerco di fare in modo che si costruiscano anche un'anima analogica, quella nella quale abbiamo sempre vissuto e continueremo a vivere, perché restiamo figure tridimensionali.

La televisione non è più centrale, ha mai pensato di provare realtà differenti?

No, mai. Ho fatto pochissima radio e una volta un film, il minimo sindacale dell'avventura. Credo che ognuno debba fare il proprio e cercare di farlo bene. Oggi il mercato del web è completamente nuovo e differente, ma poi vedi che alla fine se il prodotto televisivo funziona, non c'è web che tenga.

Lei ha detto più volte che rifarebbe Sanremo solo se lasciasse l'Ariston per una nuova location. Mi spiega meglio la questione?

Quando guardi l'Eurofestival capisci che la musica può essere raccontata in una maniera più contemporanea, di ampio respiro. L'Ariston, per quanto sede storica del Festival, resta un teatro. Non è inadatto, ma ha consumato se stesso, ha esaurito le sue potenzialità di racconto. Se vuoi avere un Festival più contemporaneo devi cambiare sede. Se si potesse cambiare, là dove me lo chiedessero, mi piacerebbe lavorare a questa nuova immagine di Sanremo.

Gli ultimi Sanremo le sono piaciuti?

Non lo seguo particolarmente. Mi è piaciuto farlo, non mi diverte molto vederlo. Trovo che fino al 2009 fosse divertente fare Sanremo per la fortissima contro programmazione, che oggi non c'è per questa sorta di accordo tra gentiluomini fatto tra le due aziende. Qualunque cosa fai, sempre il 50% raggiungi. Nel 2005 avevamo contro Grande Fratello, Cesaroni, Zelig; adesso, durante Sanremo, qualunque canale digiti rimbalzi di nuovo su Rai1.

Dice che così è vincere facile?

Credo che in questo modo anche chi deve realizzarlo, per quanto intrepido e attento, si lasci sedurre dalla pigrizia del comunque acquisibile facilmente. Quindi viene fuori un racconto in cui non mi pare ci sia nulla di trascendentale, ma più che altro delle lunghissime puntate di Domenica In con una gara musicale dentro.

Con un po' di malizia potrei vederci una frecciatina a Morandi, Fazio, Conti, Baglioni…

Non è una cattiveria, io lo capisco, se non hai avversari per quale motivo investire denaro in progettazioni innovative? Prendi ottimi interpreti, canori e di intrattenimento, e fai una cosa per la quale non ci sia bisogno di rimboccarsi le maniche. 

Bonolis, ma lei si stuferà mai di fare televisione?

Probabile, mi sono stufato di tante cose, perché no della televisione. Arriverà quel momento, ma soprattutto arriverà quando mi renderò conto, e ci siamo vicini, di non poter essere più contemporaneo. Non mi va di diventare un vecchio che disperatamente cerca di imporre se stesso con un linguaggio non più adatto ai tempi.

Considera l'insegnamento una strada possibile per il futuro?

Se qualcuno avesse piacere a propormelo, perché no. L'ho già fatto diverse volte e in generale mi interesserebbe l'idea di redistribuire l'accumulato.

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