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Paola Perego e gli attacchi di panico: “Temevo di morire, i miei ricordi offuscati dai farmaci”

Paola Perego ha iniziato a soffrire di attacchi di panico quando aveva solo 16 anni. L’analisi l’ha aiutata: “Ne sono uscita con tre percorsi differenti di trattamenti di psicologia comportamentale”.
A cura di Daniela Seclì
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Paola Perego, in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera, è tornata a parlare del problema degli attacchi di panico, di cui ha cominciato a soffrire quando aveva solo 16 anni e la sua carriera in televisione stava per avere inizio. La conduttrice è tornata con la mente a come riuscì a nascondere l'inferno che stava vivendo, risultando all'apparenza sempre serena:

"Per anni la gente ha visto una persona in apparenza vivace, ironica. Ma io ero in una bolla. Prendevo delle medicine e non parlo di quelle che si prescrivono oggi, che sono molto più leggere. Parlo di medicine che, pur di allontanare la sensazione di panico, appianavano tutto. Piallavano ogni cosa, comprese le emozioni. Per esempio, non riuscivo più nemmeno a piangere. Molti dei miei ricordi sono offuscati, come dentro una nuvola. Compreso il mio matrimonio con Andrea (Carnevale, ndr). I critici dicevano che ero troppo fredda e distaccata, ma oggi posso dirlo: prendevo benzodiazepine".

I sintomi degli attacchi di panico e la paura di morire

Paola Perego ha spiegato che chiunque sia così fortunato da non avere vissuto il dramma degli attacchi di panico, non può comprendere fino in fondo quanto sia dolorosa come esperienza, dai sintomi come la sudorazione fredda e la sensazione di formicolio nel corpo, fino alla paura di morire: "La cosa più difficile da spiegare è la sensazione di essere a un passo dalla morte. Avevo sedici anni quando la provai per la prima volta e prima che iniziassi il percorso di guarigione, con l’analisi, l’ho sperimentata tante volte".

10 anni di analisi l'hanno aiutata

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Paola Perego ha affrontato oltre dieci anni di analisi, che le hanno permesso di fare luce sulle sue fragilità e comprendere di non doversene vergognare. Dopo "tre percorsi differenti di trattamenti di psicologia comportamentale", ne è uscita:

"Ho imparato tanto. Prima di tutto che la fragilità non è una colpa né qualcosa da nascondere. E io ho sbagliato, perché l’ho nascosta per tanto tempo ai miei figli. Avrei dovuto mostrarmi per quella che sono, ma erano altri tempi: se andavi dal medico e gli elencavi i sintomi, quasi certamente lui diceva che avevi un esaurimento nervoso. E così nascondevo, camuffavo, sedavo. Nascondevo le medicine in camerino, nessuno doveva sapere che da un momento all’altro sarei potuta crollare".

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