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Panariello non esiste (e si era intuito)

“Panariello non esiste” chiude dopo quattro puntate puntando su grandi nomi che non bastano ad uno show, seppur onesto, lento, vecchio e con qualche eccesso di presunzione.
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Ieri sera ha chiuso i battenti Panariello non esiste, l'ultimo sforzo di Mediaset in ordine di tempo, in termini economici e di idee, di replicare il varietà alla maniera di Mamma Rai. E non ce ne voglia Giorgio Panariello, "artistone" come pochi in Italia, ma avendo ancora così fresche nella memoria le novità dirompenti e allo stesso modo semplici di Fiorello e del suo Il più grande spettacolo dopo il weekend, lo spettacolo del toscano diventa come mangiare per quattro settimane kebab, dopo che hai assaggiato il meglio dello slow food all'italiana nei migliori agriturismi dell'appennino: pesante da digerire.

Quattro puntate girate tutte a ritmi molto lenti  che con i sempreverdi, eppure graditi, personaggi di Panariello, tempo dieci secondi, dopo il classico breve sorriso del ricordo, magari pensando ai fasti di Torno Sabato tra il 2000 e il 2003, lasciano il posto alla monotonia. E poi stop. Quel tormentone così in voga all'epoca, "Ti piace il marsupio?" nel 2012 è decisamente fuori fase, la realtà è altrove e quella che il toscano irride resta sempre la stessa di 12 anni fa. Quindi tranne che per alcune ospitate pregevoli, come il momento musicale di Giuliano Sangiorgi dei Negramaro al quale basta un pianoforte e un faro da 1000 puntato per emozionare anche il più solitario dei lupi, c'è stato davvero poco da segnalare. Nemmeno Laura Pausini e Biagio Antonacci hanno smosso più di tanto le acque di un mare troppo calmo. Nella prima puntata arrivò anche Vincenzo Salemme, uno dei pochi ad aver perso le sfide degli ascolti televisivi forte del sostegno della Rai, ormai viziato dall'aria cattiva dei cinepanettoni e trasformato in una macchietta di se' stesso, che fece ben capire la noia mortale a cui saremmo andati incontro. Forse da salvare, però, c'è stato il simpatico siparietto con Claudio Baglioni, buono per farci scoprire la magistrale tecnica alla chitarra di suo figlio Giovanni, nella terza puntata.

La delusione è tutta per Renato Zero e Raffaella Carrà, annunciati come gli ospiti più attesi e arrivati appunto alla chiusura di Panariello (che appunto) non esiste. L'entrata in scena del sorcino e della Raffa avviene sulle note della magnifica Tu vuo' fa l'americano di Renato Carosone, strappata in maniera indegna dei suoi versi con parole del tipo: "Ecco la tua fedele Raffaella, sono arrivata grazie alla tua stella. Da te che hai fatto un mare di gavetta, tu ti meriti tutto quel che hai: che talento Panariello!". L'autocelebrazione di se' stessi, dopo quattro puntate di ascolti abbastanza deludenti, arriva per bocca del duo Zero-Carrà che, finita la canzone, non ha la minima idea di cosa dire, forse le idee chiare ce le ha solo il vero Renato che, confermando la leggenda portata alla luce del "falso" Renato, precisa all'amico Giorgio di poter fare quello che vuole, "basta che alla fine mi metti sul borderò", vale a dire registrare il suo nome sul documento che permette alla Siae di elargire i compensi per i diritti d'autore). E la frase di Renato Zero è la parola chiave che fortifica il concetto che a Mediaset non si farà mai un varietà come quello della Rai: i soldi non bastano.

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