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Malore Eriksen, il telecronista Andrea Marinozzi: “C’era poco da dire, meglio il silenzio”

Il telecronista Sky, voce di Danimarca-Finlandia, racconta a Fanpage.it la sua reazione al dramma di Christian Eriksen: “L’ho vissuta come un normale telespettatore, non so nemmeno se sia giusto dirlo da telecronista, ma in quel momento io speravo solo di vedere un segnale positivo e volevo stare zitto”.
A cura di Andrea Parrella
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Mentre migliaia di persone assistevano alle drammatiche immagini del malore a Christian Eriksen a Euro 2020, c'era chi quei momenti era chiamato a commentarli in diretta. La telecronaca di Danimarca-Finlandia era capitata in sorte ad Andrea Marinozzi, tra le voci storiche di Sky. A fargli compagnia solo le cuffie, il microfono e i monitor, su cui scorrevano le immagini avvilenti che in tanti abbiamo visto in questi giorni. La reazione di Marinozzi ha lasciato spazio ad un'umanità quasi anomala e fuori dal tempo, mentre montavano polemiche sulla morbosità e la spettacolarizzazione del dolore. Il suo è stato un lungo silenzio, intervallato da brevi frasi di commento, tappeto sonoro di un dramma che ripercorre e analizza in questa intervista.

L'accaduto ha provocato in te un contraccolpo psicologico?

Avrò una risposta certa solo alla prossima telecronaca. Lo shock credo sia superato, è stato forte e si è fatto sentire una volta data la linea allo studio dopo l'uscita dal campo di Eriksen in barella. Lì un calo di tensione c'è stato e ho avuto un momento di debolezza. 

Si è poi deciso di riprendere la partita. Come l'hai vissuta?

Non avevo grande voglia di ricominciare, ma le notizie sulle condizioni di Eriksen erano rassicuranti ed eravamo tutti più tranquilli. Lì mi sono chiesto quale fosse il tono giusto, ma poi sono andato ad istinto, senza troppo entusiasmo e rari accenni di fervore. 

La gravità dell'accaduto è stata chiara sin da subito?

Immediatamente, è stata lampante soprattutto per l'inquadratura stretta su di lui. Quando è crollato in quella maniera, ho visto l'arrivo di Kjaer e gli altri compagni, le manovre che hanno fatto, ho capito subito il momento. Le immagini degli occhi sbarrati e lo sguardo nel nulla non lasciavano presagire cose positive. L'arrivo dei dottori e il massaggio cardiaco hanno fugato ogni dubbio.

Era la prima volta che ti trovavi a raccontare una situazione di questo tipo?

Ci sono stati altri casi, ma diversi. Qualche anno fa, commentando le partite del Sud America, mi ritrovai a raccontare una rissa dopo la quale nessuno rientrò più in campo. In quell'occasione però c'era al mio fianco Lele Adani e fu più semplice tenere la cronaca. Ma è un imprevisto non paragonabile a ciò che è successo sabato, in Danimarca c'era terrore.

In quei momenti hai scelto di rimanere in silenzio, parlando pochissimo. Si è trattato di una scelta?

Non ho pensato a nulla, non mi sono chiesto cosa fosse giusto dire. Non avevo esperienza, anche perché nessuno può averla e fatico a capire se questa sia la ricetta giusta per raccontare un fatto così grave, ma io credo di aver commentato alla stessa maniera di come avrei fatto se fossi stato sul divano di casa con mia moglie. Ho visto quelle immagini e sono rimasto senza parole, ero angosciato, riuscivo solo ad aggiungere qualcosa ogni tanto. Mancava la voglia di parlare. L'unico momento in cui ho riacceso il cervello è stato quando è entrata in campo la moglie di Eriksen. 

Data la delicatezza del momento, non era nemmeno semplice riconoscerla. Hai capito subito che si trattava di lei?

Non avevo la certezza che fosse lei, ma quasi. Ho cercato rapidamente la sua foto e questo mi ha permesso di tornare lucido. Ho quindi sentito il dovere di confermare questa cosa dicendolo a tutti e sottolineando che Kjaer e Schmeichel fossero lì a consolarlo per evitare si avvicinasse a Christian. 

Ti sei preoccupato di quei lunghi vuoti lasciati dai tuoi silenzi? 

Non ci ho mai pensato, mi sentivo di non aggiungere nulla a ciò che tutti stavano guardando. Forse il solo errore che mi sento di contestarmi è che il manuale del perfetto informatore e giornalista avrebbe previsto che dopo pochi minuti ribadissi ciò che era accaduto, visto che in quei minuti probabilmente erano in molti ad atterrare su Sky, chi perché aveva cambiato canale per qualche istante, chi perché aveva letto la notizia online. Non ci ho pensato, l'ho vissuta come un normale telespettatore. Non so nemmeno se sia giusto dirlo da telecronista, ma in quel momento io speravo solo di vedere un segnale positivo e volevo stare zitto. Da casa, forse, avrei voluto la stessa cosa. 

Al netto dell'imprevedibilità, la formazione di un telecronista prevede la gestione di situazioni di questo tipo?

No, almeno personalmente non mi sono mai posto la domanda o confrontato con qualcuno. Si tratta di un imprevisto e qui entra in gioco la persona più che il professionista, la sensibilità che una persona ha nel trattare un determinato argomento. Mi è capitato di raccontare episodi di razzismo, gli ululati durante la partita e in quel caso ricordo di essere stato molto duro verso queste persone. Credo che la migliore strategia sia quella di essere se stessi, naturali, non accentuare ed esagerare. In nessuna direzione.

Situazioni molto diverse, ma in tanti hanno individuato un parallelismo con Bruno Pizzul all'Heysel, costretto a commentare una partita dopo la morte di 39 persone.

Non ci avevo pensato. Effettivamente è passato molto tempo e sono chiaramente situazioni diverse, a cominciare dagli esiti: quella fu una tragedia, qui per fortuna si è chiusa al meglio. Penso che nel caso di Pizzul fu tutto molto più complesso, avendo visto le persone morire davanti ai suoi occhi. 

Dopo si è aperto un enorme fronte polemico sulla morbosità rispetto alle immagini del calciatore a terra e della moglie in lacrime. Che idea ti sei fatto?

Io credo dipenda molto dalla sensibilità delle persone. Per me la dignità umana viene prima del diritto all'informazione. L'immagine di lui che cade a terra a me fa male, l'avrò rivista due volte e poi ho sempre cambiato canale. Mi sono confrontato anche con la redazione per le linee guida. La spettacolarizzazione delle immagini è un problema che abbiamo e penso che quanto fatto dai calciatori della Danimarcasia quello che si deve fare. Ho apprezzato anche che la regia, durante quei minuti, abbia deciso di allargare l'inquadratura.

Sul limite tra informazione e morbosità c'è un grande dibattito e non tutti la pensano allo stesso modo. 

Vero, ma questa è la mia sensibilità, se non avessi visto l'immagine per la prima volta forse non sarei andato a cercarla. Però ho visto molte persone esprimersi in modo contrario, dicendo di voler essere informati fino in fondo. Bisogna scegliere e io opterei sempre per salvaguardare la dignità umana. 

Tanti si sono complimentati con te per la sobrietà. 

Mi ha colpito clamorosamente in positivo questa marea di affetto. Solitamente i social prediligono gli insulti, mentre in questo caso ho avuto molti attestati di stima da colleghi e non solo, cosa di cui sono profondamente grato. 

Il 15 giugno riparti da uno dei match più attesi di Euro 2020, Francia-Germania. Che sensazioni hai?

Mi aspetto la partita più bella della fase a gironi, possono giocare in maniera più libera essendo la prima del girone. Da una parte c'è una squadra fortissima, la Francia, che forse corre il rischio di piacersi un po' troppo. Dall'altra una squadra che viene da un momento difficile, ma che è all'ultima avventura dell'allenatore che l'ha portata alla vittoria del mondiale. Gli occhi, ovviamente, sono tutti per Mbappé, chiamato a confermare il livello stratosferico di quest'anno, considerando le voci di mercato su di lui, Real Madrid su tutte. A proposito di Real, anche Benzema può fare la differenza, essendo stato un grande assente ai mondiali del 2018. 

Il modo di guardare il calcio sta cambiando, partite sempre più spezzettate, highlights che hanno il sopravvento sulla fruizione dei match per intero. Che prospettiva vede chi oggi le partite le racconta?

Io fatico ancora ad avere una visione chiara. Non nego un po' di preoccupazione, ho cugini e nipoti molto più giovani che hanno un interesse per il calcio completamente diverso da quello che avevo io da ragazzo. Non seguono squadre ma hanno idoli, se ci sono loro in Tv allora guardano, ma è una passione per il singolo più che per lo sport in generale. 

La Superlega potrebbe essere un concept in grado di evitare che il calcio venga completamente snaturato?

Sono stato tra i pochi a non oppormi a spada tratta alla Superlega, folle per come era stata pensata e strutturata, ma non errata come logica. Pensare a un campionato di sole grandi squadre, con la possibilità di retrocedere ed essere promossi, potrebbe avvicinare un po' di più le persone al calcio. Se penso a questa necessità di icone che avverto da parte delle nuove generazioni, capisco che vedere una partita di fascia medio-bassa può non avere alcun tipo di appeal e interesse. Dall'altra parte, il vero appassionato può uscirne disamorato. Per questo ribadisco che fatico a capire quale sarà la ricetta per far sì che il calcio cambi senza snaturarsi. 

Nel frattempo avanza con sempre maggior forza il gioco virtuale. I nuovi atleti sono i gamers?

Ho fatto cronache di eventi virtuali e mi sono divertito. Ho partecipato a un evento in cui commentavamo dallo stadio i professionisti che giocavano su dei maxischermi. La definisco un'esperienza divertente. Si tratta di persone che lo fanno per lavoro, anche con ottime entrate soprattutto in nord Europa, ma resta un gioco che finisce lì, non so se sia in grado di attirare grandi masse. 

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