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Luca Ravenna: “A LOL mi sentivo un alieno, ero la quota indie”

Di come si possa far ridere in tempo di pandemia e di quanto la risata sia uno dei temi più seri per descrivere questo tempo di passaggio. Lo stand up comedian Luca Ravenna, tra i protagonisti della prima edizione di LOL, si racconta in un’intervista: “I tempi cambiano e bisogna anche cambiare il modo di scherzare, l’importante è non guardare gli spettacoli comici con il fucile puntato”.
A cura di Andrea Parrella
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La partecipazione a LOL gli ha garantito grande visibilità e nelle ultime settimane si è parlato molto di Luca Ravenna. Sia perché c'era lui tra i "concorrenti" meno conosciuti dal grande pubblico, sia perché la sua presenza nello show di Amazon Prime Video, al di là del chiacchiericcio, alimenta un discorso interessante sul confronto tra diversi modi di ridere.

Ravenna, ammettiamolo, hai percepito di essere un alieno nel programma?

Il fatto che tu me lo chieda, mi fa capire che per lo spettatore è stato così. Lo confermo, io faccio cose diverse da quelle che danno la sostanza a un programma come LOL: può sembrare una forma di difesa, ma è anche vero.

Calarsi nelle dinamiche del programma è stato complicato?

Sono stato chiamato come la quota "indie" e mi ha fatto piacere, mi ha aiutato a capire come stare davanti alle telecamere. Questa qualità o la possiedi, penso al caso di Michela Giraud che ha una attitudine caratteriale, oppure come me la apprendi. Mi sono messo alla prova in una situazione che ha avuto una risonanza enorme rispetto a un contesto come quello della stand up che è decisamente più ristretto. 

Recentemente hai pubblicato sul sito The Comedy Club uno show tutto improvvisato, in cui parli col pubblico più che fare un monologo. Lo consideri uno spettacolo finito o un suo genitore?

Non saprei rispondere con esattezza. Ogni comico ha un suo stile e il mio prevede di interagire molto con il pubblico durante una serata. Da qui a pensare di farci uno spettacolo intero ce ne passa molto, ma l'interazione fa parte della scrittura dei pezzi che poi esegui sul palco. In questo spettacolo, impostato tutto su domande e risposte nel pubblico,  si vede chiaramente che sto provando dei pezzi di monologo. 

Uno show così rende protagonista il pubblico presente. Non c'è il rischio che lo spettatore in streaming si percepisca escluso?

È un dubbio che non mi sono mai posto, ma credo che, a maggior ragione in questo periodo complesso, la risata generata nel pubblico presente alla registrazione coinvolga anche chi guarda lo spettacolo in video, generando empatia. Una cosa resta chiara: si ride se lo spettacolo fa ridere. 

Pensi che la stand up comedy italiana uscirà migliorata da questa pandemia?

Credo non ci abbia guadagnato nulla così come qualsiasi forma di intrattenimento, anche solo in termini di scrittura. Banalmente, ti mancano tutta una serie di possibilità per osservare le altre persone, gli eventi, visto che ogni genere di azione è filtrata dagli schermi. Può sembrare una stupidaggine, ma per chiunque faccia il mio lavoro guardare una persona prendere il caffè al bar è un po' la base del proprio lavoro di scrittura e concepimento di uno spettacolo.

Dal tuo punto di vista, il mondo dello spettacolo è in attesa di un ripristino della normalità precedente, o sta già avvenendo un cambio di paradigma per immaginare nuove forme di esibizione?

La differenza enorme rispetto al primo lockdown è che allora si percepiva fortemente l'ansia di tornare ad esibirsi, associata alla convinzione che un ripristino di normalità ci sarebbe stato. Oggi trovare soluzioni alternative è diventata la norma. Io faccio un podcast con Edoardo Ferrario, in cui proviamo a ricreare le dinamiche di uno spettacolo comico, alternandolo ad una chiacchierata. Molti hanno organizzato serate su Zoom, ma io faccio molta difficoltà perché manca oggettivamente la carne. C'è chi ci riesce ed ho molto rispetto per questa cosa. 

In Italia la stand up comedy è emersa con l'etichetta della risata impegnata contrapposta a quella "caciarona". Credi in questa classificazione e, soprattutto, la ritieni ancora necessaria?

Secondo me molto della discussione legata a cosa faccia ridere o meno deriva dal pescare nella felicità delle persone. Ognuno può ridere quando e come vuole e penso che la risata segua delle dinamiche che non hanno a che fare con la volgarità, bensì con una serie di principi per me riconducibili anche a uno scarico di aggressività: una persona dice una cosa, anche pesante, e nel ridere ti solleva dal pensare di essere il solo o la sola ad averlo pensato. In generale credo che oggi interessi al pubblico un punto di vista che sia quanto più personale possibile, ma tutto ciò che ha a che fare con le classificazioni a mio parere c'entra con la militanza, come nella musica: il vero rock lo fa solo tizio, il vero rap solo caio. Da italiani abbiamo una spiccata propensione per il tifo, anche in questo ambito. 

La stand up rischia di essere una forma di rappresentazione caratterizzata da snobismo intellettuale. 

Probabilmente è così, ma è anche un equivoco. Lo snobismo è spesso anche il sintomo della paura di confrontarsi con altro. Detto ciò, è chiaro che tutti riconoscono un capolavoro in un monologo di Louis C.K., ma temo che l'uomo caduto in un tombino ti farà sempre più ridere di qualsiasi altra cosa. 

All'entusiasmo iniziale per LOL è seguita una certa disillusione quando è emerso che alcune gag fossero identiche alle edizioni estere. Che idea ti sei fatto della cosa?

Questo discorso ha a che fare con il desiderio delle persone di credere alle favole, o meglio sperare che tutto ciò che ti arriva sia frutto di purezza e talento.

In sostanza, la spontaneità.

Esatto. Spontaneità che c'è stata, perché stando lì ho visto assi della comicità italiana fare cose di una difficoltà incredibile. Secondo me il pubblico ha sempre diritto di esprimere la propria opinione. Quello che oggi è cambiato rispetto a un tempo è che un parere non solo puoi scriverlo, soprattutto rileggerlo. 

Gli stereotipi sembrano diventati un campo minato per chi intende far ridere. 

Di solito quando le persone ridono si sentono felici e parte di un gruppo. Chi si sente escluso è dispiaciuto e la tensione con cui si cerca di stare esclusi facendo risultare la propria opinione più importante è molto forte in questo momento. Ricky Gervais sostiene che non è vero non si possa dire nulla, si può dire tutto ma può darsi che qualcuno si offenda per ciò che dici. Starà a te prendertela o meno. 

Gridare alla censura e alla dittatura del politicamente corretto è atteggiamento sempre più ricorrente.

L'idea è sempre che il comico debba poter dire che il re è nudo, togliergli questa possibilità vuol dire limitarne la forza. Detto ciò i tempi cambiano e bisogna anche cambiare il modo di ridere e scherzare. L'importante è non guardare gli spettacoli comici, o qualsiasi cosa faccia ridere, con il fucile puntato. La magagna si troverà sempre, ci sarà sempre qualche tema che fa incazzare qualcuno per ragioni varie, ma andarci con questo spirito significa andarci, secondo me, con lo spirito sbagliato. In fondo si tratta solo di battute e peggio delle battute ci sono le azioni. 

Che ne pensi dell'indignazione internazionale per il caso Striscia La Notizia, con la gag sui cinesi?

Non per benaltrismo, ma trovo che i drammi veri non risiedano in rappresentazioni satiriche, anche di dubbio gusto, ma altrove. Penso al fatto che Salvini sia ancora coinvolto in un processo a Catania per aver impedito a una nave piena di migranti di sbarcare in porto. Mi sembra leggermente più grave, giusto per dirne una. Resto dell'idea che posizioni così nette debbano appartenere al calcio, dove la distinzione tra i colori delle squadre è netta, mentre su temi come questi ci sono molte sfumature. E poi mi chiedo perché qualcuno debba dirti cosa non puoi dire, anziché dire meglio la cosa che avresti detto male. 

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