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Tragedia Heysel 35 anni dopo, quando Bruno Pizzul commentò il calcio dopo un bollettino di guerra

In quella notte assurda di 35 anni fa, quando 39 tifosi per lo più italiani persero la vita allo stadio dell’Heysel, Bruno Pizzul fu costretto a passare dai toni entusiastici di un grande evento sportivo a quelli funerei di uno scenario di guerra. Fu opportuna quella telecronaca nonostante tutto? Una domanda che riecheggia e che più volte ci siamo posti anche durante il lockdown, mentre la televisione provava ad esserci oltre i bollettini.
A cura di Andrea Parrella
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I 35 anni dalla notte tragica dell'Heysel, per chiunque abbia seguito la vicenda dall'Italia, significano soprattutto la voce di Bruno Pizzul. Il telecronista, chiamato a commentare un evento che doveva essere di festa, la finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool, si ritrovò all'improvviso a raccontare uno scenario di guerra. Una situazione senza precedenti, che palesò l'inconsistenza di un atavico cliché, la barriera che separa il giornalismo sportivo e il giornalismo.

"Ripeto ancora una volta che non credo sia il caso, a questo punto, di sottolineare l'evento sotto il profilo agonistico e sportivo", il telecronista scandiva con queste parole i minuti appena successivi ai fatti tragici, in cui si parlava ancora di feriti e non si erano materializzati i dati dei 39 morti, per lo più di tifosi italiani.

Se nei tifosi, i parenti delle vittime e chiunque a loro fosse vicino, la rievocazione di quelle immagini e quella cronaca può rappresentare legittimamente un incubo, l'appassionato di televisione, di giornalismo e di racconto, non può che vedere in quelle tre ore e più di commento necessariamente improvvisato, travolto dalle vicende, una certificazione aggiuntiva della professionalità, del talento, della proprietà di linguaggio e del tatto di una delle voci che meglio ha saputo raccontare il calcio in Italia.

L'opportunità di quel commento

Sembra un paragone azzardato, ma la situazione in cui si trovò Pizzul ha a che fare con gli ultimi, assurdi mesi che abbiamo vissuto a causa del coronavirus. Quella circostanza è stata più volte letta nella chiave dell'opportunità. È stato giusto commentare ugualmente una partita di calcio con i corpi morti ancora caldi? Non sarebbe stato meglio evitare il commento in toto, preferendo il silenzio? Frasi che hanno riecheggiato negli anni a commento della vicenda e che, per diverse ragioni, sono state più volte pronunciate nei mesi di lockdown, mentre la televisione tentava di continuare a proporre intrattenimento a dispetto dei bollettini tragici della protezione civile.

Il racconto come dovere del giornalista

"Consentite che l'uomo sportivo esulti per questo successo della Juventus", diceva Pizzul al momento del fischio finale che decretava la vittoria della Juventus in quella partita giocata in un contesto spettrale. E forse una risposta alla domanda sull'opportunità di continuare a raccontare quello che stava accadendo e commentare una partita che furono le autorità belghe a chiedere di giocare per pianificare le misure di sicurezza ed evitare altri disastri, una risposta, appunto, la dà lo stesso Pizzul in un articolo a sua firma su La Stampa di queste ore:

[…] Mai infatti ho sentito il peso di quel lavoro svolto in modo inconsueto e in un contesto particolarissimo, mi sono piuttosto sentito schiacciato dall’assurdità di essere arrivato in una bella e civile città europea per raccontare le emozioni di una partita di pallone e aver invece dovuto raccontare dire di 39 morti e centinaia di feriti.

Il racconto era il suo dovere e Pizzul raccontò, nel momento più difficile.

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