La storia di Felicia Impastato raccontata da Lunetta Savino: “La mamma che sfidò la mafia”
Venerdì 22 maggio, a ridosso della giornata della legalità 2020, Rai1 ripropone il film Felicia Impastato. Diretto da Gianfranco Albano con Lunetta Savino, racconta la coraggiosa lotta della madre di Peppino Impastato, ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978. Felicia attese 24 anni per avere giustizia, mostrando in pubblico dignità e fierezza e concedendosi di vivere il dolore solo nel buio della sua stanza. Fanpage.it ha chiesto all'attrice Lunetta Savino di ripercorrere la sua storia.
Il 9 maggio 1978, Peppino Impastato viene sequestrato, torturato e ucciso dalla mafia. Ha inizio così la lotta della madre Felicia.
Quella notte, fu svegliata dai carabinieri che fecero una perquisizione senza dirle il vero motivo. Felicetta, la nuora, le comunicò che Peppino era morto. Felicia cacciò un urlo fortissimo, si chiuse nella sua stanza, si vestì di nero e da quel momento in poi, non si tolse mai più il lutto.
Le Forze dell'Ordine comunicarono a Felicia che Peppino Impastato si era suicidato, facendosi esplodere per compiere un attentato.
Ci fu un depistaggio vero e proprio. Un depistaggio di Stato. Venne fatto passare per terrorista. Poi usarono una lettera che avevano trovato in un libro di Peppino per parlare di suicidio. Lui scriveva i suoi sentimenti, le sue impressioni. Probabilmente in quelle righe c'era solo un suo momento di sconforto. Fu una cosa gravissima.
In un primo momento, quindi, Felicia non ha potuto contare nemmeno sullo Stato.
Felicia è stata abbandonata dallo Stato, come sono stati lasciati soli Chinnici e Falcone. Caso strano tutte persone che si sono esposte, che hanno cercato e trovato la verità. Questo fa male a noi cittadini italiani che ancora adesso non abbiamo le risposte. Scusi, se mi sono un po' infiammata. Felicia ovviamente ha capito subito che suo figlio era stato ammazzato dalla mafia.
Quella donna minuta ma fiera, si caricò sulle spalle la battaglia iniziata da suo figlio.
Peppino era figlio di un mafioso, ma rifiutava questa appartenenza, la combatteva. Ridicolizzava pubblicamente i mafiosi, sbeffeggiandoli in radio e questo li faceva imbestialire. La parola e l'intelligenza erano armi molto più forti di quelle vere. Lo capì anche Felicia, che era una donna intelligente e ironica.
Pur di farla tacere, i mafiosi dissero a Felicia che avrebbero vendicato la morte di Peppino. Ma tra la rapida vendetta e i lunghi tempi della giustizia, la Impastato scelse ancora una volta la giustizia.
Non c'è dubbio che la vendetta sarebbe stata più rapida, ma lei la rifiutò subito. I mafiosi le dissero: "Ci pensiamo noi a vendicare tuo figlio. Lui era uno di noi, faceva parte d'a famigghia". Ma Felicia gli ricordò che Peppino aveva combattuto contro di loro. Rifiutò la vendetta, raccolse il testimone del figlio e si accanì, combattendo come una leonessa fino alla fine.
Alla fierezza con cui Felicia sfidava i mafiosi, si contrapponeva il lacerante dolore che viveva in privato. Tra le scene più sofferte della fiction, c'è quella in cui Felicia Impastato si colpisce alle tempie.
È terribile. I familiari mi hanno raccontato che Felicia aveva deciso di non piangere in pubblico per non dare soddisfazione. Viveva il dolore in privato. Chiusa nella sua stanza, si dava i pugni in testa. Finì in ospedale proprio per questo.
Nonostante tutto, continuò con coraggio la sua battaglia per avere giustizia. Tutti le consigliavano di chiudersi in casa a piangere il figlio, ma lei decise di aprire le porte.
La cosa che più mi ha colpito di Felicia Impastato è stata proprio questa. Aveva tutti contro eppure apriva la porta e urlava che suo figlio l'avevano ucciso i mafiosi. Si mostrava all'esterno con dignità e forza. Apriva casa sua per parlare ai più giovani e raccontare chi era suo figlio Peppino Impastato. Capiva che la battaglia per la giustizia sarebbe stata lunga e in questo tempo lei non poteva chiudersi in silenzio e piangere, doveva combattere e tenere viva la memoria di suo figlio.
Arrivò mai un momento in cui pensò di rassegnarsi?
Felicia incontrò sulla sua strada dei magistrati validi e coraggiosi come il giudice Costa e Chinnici. Entrambi vennero uccisi. In quel momento, ebbe un cedimento perché quelli che credevano nella sua battaglia poi venivano ammazzati. Finché raccolse il testimone il magistrato Franca Imbergamo. Era allieva di Chinnici e riuscì ad arrivare all'incriminazione di Badalamenti.
Nel 2002 Gaetano Badalamenti, mandante dell'omicidio di Peppino Impastato, venne condannato all'ergastolo. Nel 2004 Felicia è morta.
Sì, ha trascorso la vita intera in cerca di giustizia per suo figlio. Era allo stremo delle forze, invecchiata, incurvata su se stessa, si manteneva a stento sulle gambe, quando entrò in aula e indicò con il dito il colpevole Badalamenti. Tutti ricordano quella scena.
Ritiene che oggi si parli abbastanza della lotta alla mafia?
Della mafia se ne parla poco e male, come la polvere che si vuole mettere sotto al tappeto. È necessario continuare a raccontare queste storie. A volte i mafiosi si sostituiscono allo Stato. In questi tempi di pandemia, tempi difficili, duri, in cui le persone sono in gravi condizioni economiche e non hanno i soldi necessari per andare avanti, alcuni si rivolgono agli strozzini, alla malavita, alla criminalità organizzata. Questo è gravissimo, lo Stato non deve permetterlo. Bisogna muoversi con tempi rapidi.
Qual è l'insegnamento di Felicia Impastato alle nuove generazioni?
Che la mafia si combatte con la cultura. Un messaggio fortissimo per i giovani che in alcuni territori conoscono soprattutto il linguaggio della violenza e delle armi. Felicia insegna che bisogna studiare, approfondire, non credere a tutto ciò che ci viene raccontato, che bisogna ragionare con la propria testa.