La stanza del medico, Roy De Vita: “Raccontiamo storie vere, un modo diverso di fare divulgazione”
Nel periodo di quarantena è partito il progetto de La Stanza del Medico, approfondimento su temi medici con Paolo Bonolis e il professor Roy De Vita, protagonista delle pillole di 7 minuti e delle dirette online con Bonolis sui canali ufficiali di Sdl TV, la società di produzione di Sonia Bruganelli. È proprio con Roy De Vita che parliamo di questo progetto, che ha l'ambizione di andare oltre la divulgazione e affrontare le tematiche anche da un punto di vista più intimo ed emotivo.
Professore, il format è arrivato nel periodo della quarantena, con le nostre vite pervase da notizie sanitarie. L'idea d La Stanza del Medico era nata prima del ciclone coronavirus?
Il progetto è più datato. Paolo Bonolis ha questo legame forte a Il Senso della Vita e in realtà doveva esserne una costola, con l'idea di uno spazio dedicato ad argomenti di ampio respiro rispetto alla medicina in generale, con risvolti importanti dal punto di vista etico: vaccinazioni, eutanasia, testimoni di Geova, interventi profilattici nei confronti dei tumori.
Quindi è stato adattato ad un un formato web.
In questo momento di stop assoluto su tutto è venuto in mente alla produzione (Sdl Tv) e agli autori di provare a lanciare sulle piattaforme social queste pillole, cui seguono discussioni in diretta alle quali il pubblico può partecipare con delle domande.
La stanza del medico è impostato per leggere la questione da due punti di vista: quello del paziente, ma anche e soprattutto quello del medico.
A me è piaciuta molto l'idea. Si tratta di un modo atipico di fare divulgazione medica, che è quella che mi interessa, più del dato spettacolare. Ma è complesso fare un'informazione medica che sia al passo coi tempi, evitando il rischio di prodursi in una cosa trita e ritrita che ha scarso appeal. Ho trovato subito interessante il concetto de La Stanza del Medico, provare a vedere cosa accade nello studio di un medico, che in genere è un luogo segreto, una sorta di confessionale in cui ciò che si dice rimane tra quelle mura. Consentire alle persone di entrarci e vedere cosa accade trovavo fosse una cosa molto affascinante.
Si tratta di storie vere?
Sì, assolutamente. E io sono io, i pazienti mi chiamano Roy, ho riportato alla produzione le mie esperienze. Pur essendo un chirurgo plastico ho naturalmente amici che si rivolgono a me per dei problemi e per avere consigli. Ad esempio, il primo episodio sull'eutanasia riguarda un mio caro amico carissimo che io ho perso tre anni fa. Una storia molto dura.
C'è una puntata che riguarderà il suo campo in particolare?
In una delle puntate parleremo con Barbara Palombelli di chirurgia profilattica del tumore al seno (martedì 5 maggio alle 21.30, ndr), che è una chirurgia importantissima, perché una paziente che ha un test Brca positivo (il caso di Angelina Jolie, ndr) ha una possibilità di sviluppare un tumore che va dal 60% fino all'80%. Però l'urgenza non c'è e quel tipo di paziente lì, adesso, è sospesa proprio in virtù della situazione di emergenza sanitaria.
Oltre che un noto professionista lei intende i meccanismi della comunicazione. Si è fatto un'idea del perché la disinformazione scientifica e medica sia diventata un fatto così dilagante negli ultimi anni?
Da tempo io tratto sul mio profilo Instagram di alcuni temi scientifici e medici e tra questi c'è appunto la disinformazione. Qualche giorno fa è capitato, proprio in relazione al coronavirus, che alcuni quotidiani autorevoli abbiano ripreso la notizia secondo la quale il virus possa far diventare la pelle nera. Una assurdità, perché puoi diventare itterico, ma no di certo nero. Io credo che la credibilità dei giornalisti si misuri in particolare in questi momenti e ci troviamo in una fase quanto mai cruciale.
C'è, inoltre, un costante problema di rapporto tra alto e basso.
Sì, e per quel che riguarda la medicina è di natura soprattutto lessicale. Quando io vengo intervistato su un aspetto tecnico, provo ad utilizzare un linguaggio comprensibile, ma molti colleghi tendono ad utilizzare un linguaggio tecnico e questo genera per gli stessi giornalisti che devono tradurre queste informazioni un problema potenziale. Io credo che sia responsabilità di chi divulga provare ad essere meno tecnico, ma anche di chi scrive di stare attento e far rileggere determinate cose.
Che effetto ha avuto il coronavirus sul suo lavoro quotidiano e il rapporto con i pazienti?
Noi abbiamo chiuso l'attività di routine, mantenendo solo un'urgenza assoluta, come un tumore diagnosticato che va operato. In questo momento ho un rapporto con il paziente monco, un'attività ridotta rispetto al solito. Dal punto di vista pratico è cambiato il fatto che noi facciamo una serie di analisi in più e che dobbiamo essere attenti a una serie di circostante. Obiettivo primario è evitare di mettere il paziente in pericolo ed essere noi stessi in pericolo.