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Calcio femminile, i giornalisti di Sky: “Sono più umane, si torna alla purezza di questo sport”

Il calcio femminile continuerà ad essere un argomento da bar anche dopo i mondiali? Lo abbiamo chiesto ad Alessia Tarquinio e Andrea Marinozzi, due tra i volti (e voci) principali che stanno raccontando l’avventura mondiale su Sky. Ci raccontano le scelte fatte per raccontare questi mondiali, a cominciare dalle scelte linguistiche, e quali dovrebbero essere i passaggi affinché il calcio femminile resti sulla cresta dell’onda: portarlo nelle scuole, rendere le calciatrici delle professioniste.
A cura di Andrea Parrella
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Un'estate che si annunciava orfana di grandi eventi sportivi. Succede così negli anni dispari, come vuole la tradizione, in mancanza di Mondiali di calcio e Olimpiadi. Dopo il 2019 non sarà più così e l'impressione è che ci ricorderemo di quest'anno grazie ai Mondiali di calcio femminile in Francia. Il grosso lo hanno fatto le ragazze italiane che sono riuscite a qualificarsi per la competizione (non accadeva dal 1999), ma una fetta di merito non può non essere attribuita alla televisione, per forza di cose determinante sulla risonanza di questi eventi.

E se da alcune settimane le conversazioni generaliste e i gruppi WhatsApp pullulano di botta e risposta sul calcio femminile, il merito lo si deve prevalentemente a Sky, da diversi mesi lanciata con pieni mezzi nella crociata del calcio femminile, capace di aprire uno spazio di dibattito importante in Italia. Le Azzurre sono giunte ai quarti di finale dei mondiali (mentre si stende questo articolo la partita con l'Olanda non è stata ancora giocata), ma la domanda che tutti si fanno è: terminata la febbre dei mondiali, il calcio femminile continuerà ad essere argomento da bar? La domanda l'abbiamo girata ad Alessia Tarquinio e Andrea Marinozzi, solo due tra i volti e voci di riferimento dell'avventura mondiale di Sky, senza dimenticare Gaia Brunelli, Martina Angela, Cecilia Salvai, Carolina Morace e tanti altri.

Un boom solo in parte inatteso

"Il boom è improvviso per chi non ha mai seguito il calcio femminile. Per chi lo ha sempre seguito non è una novità – racconta Alessia Tarquinio, che coordina da studio il racconto di questi mondiali –  Vincere aiuta sempre e i primi risultati hanno fatto ricredere molte persone". Per lei, che segue il calcio femminile da vent'anni, ovvero da quando ha iniziato a muovere i primi passi nel giornalismo sportivo, la caratteristica che sta alla base della disciplina è l'idea candida trasmessa: "Poi io penso che gli appassionati di calcio abbiano bisogno di ritrovare quella purezza che c'era una volta in questo sport, quei valori veri. Nel calcio femminile li trovano. Quando le persone hanno la possibilità di capire, ci vuole davvero poco per farle appassionare". Più sorpreso è Marinozzi, voce che racconta le partite della nazionale femminile di calcio:

Ho capito che c'era qualcosa di speciale dopo la prima partita. Sono ragazze senza filtri, a differenza del calcio maschile, dove i calciatori sono per lo più standardizzati e si lasciano andare meno nel parlare ai microfoni. Loro invece si emozionano, in campo e fuori, a parole.

"E va anche detto che il livello medio culturale di queste ragazze è alto", dice Alessia Tarquinio. Dettaglio non irrilevante, che racconta come, per forza di cose, il calcio sia per queste ragazze una passione e non un'ossessione che impedisce di guardare altrove. Ma svela, in realtà, anche il grado di emancipazione delle azzurre.

Raccontare semplicemente le storie, emozionarsi

Gli indiscussi sforzi compiuti da Sky in questi ultimi mesi non sono una certezza sul perdurare del fenomeno, che ha bisogno di un crescente e stabile sostegno mediatico, così come organizzativo. "Non parlare di calcio femminile come il calcio maschile, mai paragonarli perché non è giusto farlo, come non si fa per gli altri sport. Raccontare semplicemente le storie, emozionarsi e vivere col cuore le cose". È questa la breve e sintetica ricetta di Alessia Tarquinio perché il discorso sul calcio femminile prosegue nella giusta direzione. Andrea Marinozzi sottolinea inoltre aspetti burocratici, magari oscuri a chi ha ancora difficoltà a comprendere la reale differenza tra il movimento maschile e femminile: "Trasformarle in professioniste è inevitabile, anche per permettere loro una vita più facile da calciatrici e quando finisco. Garantir loro un minimo salariale, perché al momento è previsto solo un massimo e in alcune società c'è, per alcune ragazze, solo un rimborso spese. Poi c'è un aspetto sportivo: non essendo professioniste, se domani una squadra francese decide di prendere, ad esempio, Bonansea, non deve passare per la Juventus, ma basta un accordo con la calciatrice. Con questi passaggi si tutela il movimento, ci vuole un campionato forte".

Il peso del confronto col calcio maschile

"Le differenze col calcio maschile ci sono – da telecronista Marinozzi non può negarlo – ma a me piace guardare una partita di calcio femminile perché mi sembra un po' tutto più umano, vicino a noi". E quella differenza di fisicità e agonismo che sono in molti a rimarcare con approccio negativo emerge, forse, come la chiave di questo fenomeno: "Quando commento le partite di serie A e Champions League è come commentare dei robot, veramente impressionanti. Nel calcio femminile il ritmo spesso cala e quindi permette alle squadre di allungarsi, dando più spazi e offrendo più spettacolo". Dal punto di vista del racconto televisivo, dice Alessia Tarquinio, lo scarto si percepisce meno:

Dal punto di vista organizzativo non cambia niente. Poi non cadiamo nelle stesse dinamiche del maschile perché non ce n'è bisogno. Un esempio pratico: non ha senso in questo momento storico, e soprattutto durante i mondiali, parlare di calciomercato femminile, visto che le ragazze sono impegnate in una cosa grandissima e importante.

Il confronto tra Sky e Rai

E se Sky ha aperto lo spazio, il servizio pubblico ha saputo intercettare il trend, partecipando alla grande cassa di risonanza che si è venuta a creare attorno al calcio femminile. Cambiando in corsa, la Rai ha spostato le partite della nazionale di calcio femminile da Rai2 a Rai1, raccogliendo ascolti impressionanti a fronte delle aspettative. E in casa Sky questa cosa non dispiace affatto: "Penso sia stato importante e non può che far piacere – dice Marinozzi – è stato un traino giustamente sfruttato dalla Rai, che serviva principalmente alle ragazze. Perché in fondo Sky ha i suoi abbonati e le sue entrate, ma questa cosa è stata utile soprattutto per loro, che ci ringraziano sempre ed è motivo di orgoglio". Alessia Tarquinio, che ha seguito il campionato femminile, accoglie con favore la reazione della Rai ma amplia il discorso:

Si fa molto spesso il paragone Rai-Sky, ma il mio parere in questo caso – e forse non dovrei dirlo – è basta che si guardi e che la gente segua queste ragazze. La Rai trasmetteva le partite del campionato femminile, ma lo faceva in oraricomplicati, su canali improbabili, non mi pare ci avesse creduto più di tanto. Noi ci siamo a un certo punto illuminati, dicendoci che quello era il calcio del futuro ed aveva bisogno di un presente che dovevamo dargli noi.

Sky e gli "altri" sport, una battaglia culturale

Negli annali televisivi non possiamo non trovare un momento della storia di Sky Sport molto simile a questo. Il fermento, non solo sportivo ma di carattere culturale, non somiglia forse a quello che caratterizzò Sky nell'estate del 2012, quando l'emittente acquisì i diritti esclusivi dei Giochi Olimpici di Londra?. "Secondo me ancor di più – spiega Marinozzi – Sono certamente di parte, ma a Sky sono stati bravissimi nel crederci subito, scegliendo anche il linguaggio giusto e il modo giusto per trattare l'argomento. Perché poi spesso si sconfina e a volte si parla delle ragazze come se si trattasse di una disciplina paraolimpica". E anche Alessia Tarquinio conferma come lo spirito sia assolutamente quello:

Forse ad accomunare le due cose è il fatto che degli sport olimpici si parli poco se non nel periodo dell'evento. Noi abbiamo tentato prima di far conoscere le ragazze della nazionale, iniziando in anticipo rispetto all'inizio dei mondiali a giugno, soprattutto se si considera che noi abbiamo quest'anno abbiamo trasmesso le partite del campionato femminile ed è stato un primo passo importante.

La portiera, la marcatura a uomo: il nuovo lessico del calcio femminile

Quando si parla di calcio femminile la gaffe è sempre dietro l'angolo, ne sappiamo qualcosa noi in Italia col caso Collovati, ne sanno qualcosa in Francia con il caos generato nei giorni scorsi da un servizio di Tf1. L'uso corretto della lingua italiana è fondamentale nel racconto televisivo del calcio femminile. Come si sono comportati a Sky? Una breve riunione e un lavoro continuo condito dalla necessaria spontaneità, questo il protocollo adottato. "Per noi lo stop di petto è lo stop di petto – dice Tarquinio – l'unica cosa che non ci piace è mettere l'articolo femminile davanti ai nomi, non diciamo la portiera perché è proprio brutto da sentire; diciamo sempre marcatore. […] Non chiamo l'allenatrice mister, ma la chiamo coach. Loro ci tengono". Un po' più difficile adattarsi per Marinozzi:

I ruoli sono rimasti tutti al maschile (centrocampista, difensore etc.), anche le ragazze ne parlano al maschile, utilizzando un linguaggio identico al nostro. Parlando poi con la cittì Milena Bertolini si sta poi provando a influire anche sul linguaggio, magari parlando di marcatura individuale e non più a uomo, per variare un po' e renderlo più femminile. Il problema iniziale è stato più per me, ma adesso viene naturale.

E quindi, cosa manca al calcio femminile?

Chiudiamo quindi con la domanda iniziale, di quelle da diversi milioni di euro: come fa il calcio femminile a diventare un argomento da bar e non solo per l'eterno confronto con i colleghi uomini? Marinozzi non ha dubbi: "C'è ancora molto scetticismo, però chi si è appassionato e ha iniziato a vedere le gare, ha superato quel pregiudizio e adesso parla di accorgimenti tattici, di chi dovrebbe essere titolare. Siamo già diventati tutti allenatori anche per quanto riguarda la nazionale femminile. Ovviamente questo è il punto più alto e si abbasserà un po' livello di attenzione a fine mondiale, ma si ripartirà da una base molto più alta rispetto a prima". Alessia Tarquinio, che guarda alle ragazze della nazionale come sorelle, la sua famiglia, elenca gli elementi mancanti per rendere autonomo il movimento:

In America si parla tanto di calcio femminile perché lo giocano nelle scuole. Questa normalità vale anche in paesi come Svezia, Olanda. Cominciamo a dire alle persone che è uno sport da far praticare alle bambine senza pregiudizio, mettiamolo nelle scuole, facciamole giocare senza problemi. Le scuole calcio creino solo squadre per bambine, perché magari spesso le bambine coi maschi non hanno voglia di giocare e viceversa.

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